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Attività

Investimento azionario, controllo societario e corporate governance

    • Milano
    • 18 Aprile 2011

          In uno scenario in cui i processi di globalizzazione sono sempre più centrali nei percorsi di sviluppo sociale ed economico del nostro Paese, anche le imprese italiane devono attrezzarsi per diventare più competitive su scala globale. Questo obiettivo comporta una rinnovata esigenza di finanziamento o rifinanziamento di molte imprese e banche. Il reperimento di risorse finanziarie sui mercati domestici e internazionali è tuttavia diventato più difficile dopo la crisi finanziaria e il conseguente crollo “sistemico” di fiducia da parte sia dei risparmiatori che degli investitori istituzionali.

          Se i capitali più adeguati per finanziare la crescita e l’innovazione sono quelli a titolo di rischio, e quindi azionari, l’Italia continua a mostrare una scarsa incidenza del numero e rilievo delle società quotate rispetto alla dimensione economica complessiva del nostro tessuto produttivo. Le ragioni storiche di questa riluttanza ad aprire il capitale a investitori esterni – eventualmente mediante la quotazione in borsa – sono molteplici e di natura regolamentare, culturale, e di convenienza economica.

          Dal punto di vista regolamentare, la disciplina appare, per molti versi, complessa e “pesante” in termini, per esempio, di controlli interni e di informazione al mercato. Un processo di semplificazione e di razionalizzazione delle norme in materia renderebbe più semplice e appetibile l’accesso alla Borsa da parte di molte società. La revisione regolamentare non dovrebbe, tuttavia, implicare una deregulation sostanziale con il rischio di generare comportamenti opportunistici da parte degli operatori e di un ulteriore allentamento della fiducia da parte degli investitori.

          Sul piano dell’atteggiamento degli imprenditori verso la Borsa e dei costi associati al processo di quotazione, sarebbe opportuno intervenire con mirate azioni di incentivazione fiscale, ma anche con nuovi meccanismi che consentano di ridurre i costi di intermediazione – spesso proibitivi soprattutto per le imprese di minori dimensioni – connessi all’approdo sul listino. Peraltro, se l’aspetto dimensionale delle imprese italiane è una delle ragioni che rendono poco conveniente la quotazione come opzione di finanziamento, il superamento della dimensione individuale della singola impresa e l’adozione di un un modello che valorizzi le “reti” di imprese, ricalcando la struttura dei distretti, potrebbe svolgere un ruolo innovativo nell’accesso ai mercati finanziari consentendo a distretti o filiere produttive il reperimento di risorse finanziarie a titolo di debito o di equity.     

          La quotazione e l’apertura del capitale azionario comportano necessariamente riflessioni sugli assetti proprietari e i modelli di corporate governance da adottare. Nel 2011, con le innovazioni introdotte dal recepimento della direttiva europea relativa all’esercizio del diritto di voto, si assiste a un ruolo crescente degli investori istituzionali, soprattutto stranieri, nelle assemblee delle società quotate. Questa categoria di investitori avrà un peso sempre più determinante nella scelte di governance, richiedendo come contropartita dell’investimento efficaci sistemi di gestione delle imprese stesse e adeguate garanzie dei propri diritti come azionisti. Anche per questo motivo, una razionalizzazione della cornice normativa e degli strumenti giuridici e garanzie a presidio dei diritti delle minoranze può contribuire ad attirare ulteriori capitali di investimento stranieri.

          Rimane, infine, intatto il paradosso del sistema finanziario italiano che vede uno degli stock di risparmio più elevati al mondo accompagnarsi a fenomeni di sottocapitalizzazione di molte imprese. Gli interventi di policy devono quindi focalizzarsi sulla riduzione dei vincoli e sull’offerta di appropriati incentivi che permettano al risparmio italiano di trovare sbocchi nel finanziamento delle nostre imprese. Questo nello spirito, peraltro, della nostra Carta Costituzionale che associa il ruolo dello Stato di “incoraggiamento e tutela del rispamio in tutte le sue forme” a quello di promozione dell’accesso del risparmio “al diretto e indiretto investimento azionario”.