L’invasione dell’Ucraina potrebbe purtroppo essere un’anticipazione di sfide future, e non un’eccezione. D’altro canto, vi sono alcuni caratteri specifici nel conflitto russo-ucraino, soprattutto rispetto all’eredità storica dell’URSS e della guerra fredda, che ne fanno un caso probabilmente unico. E le gravi difficoltà incontrate dalle forze armate russe nella conquista territoriale, a dispetto di una marcata superiorità quantitativa e di armamenti, sono un segnale importante. La valutazione prevalente sul possibile endgame del conflitto è che si tratti in ogni caso a una sconfitta della Russia rispetto ai suoi obiettivi iniziali – mai smentiti, ad oggi – anche se potranno esserci alcune limitate offensive militari di successo per Mosca.
Il sostegno occidentale farà ancora la differenza in funzione difensiva, rendendo possibile un’Ucraina indipendente anche se con un territorio amputato, cioè una Russia strategicamente sconfitta nel suo tentativo di violazione dello status quo. Ma certamente gli aiuti sono e restano indispensabili, nonostante risultino al momento insufficienti per garantire la tenuta militare lungo tutta la linea del fronte, con il rischio che una falla possa causare una reazione a catena a vantaggio di Mosca.
La sfida russa, dunque, riguarda direttamente l’ordine europeo nel suo insieme; per questo i Paesi europei devono seriamente puntare a spese per la difesa su livelli analoghi a quelli della guerra fredda, secondo la maggioranza degli analisti. Si tratterebbe, comunque, di uno sforzo finanziario inferiore rispetto alle misure di risposta all’emergenza della pandemia, cioè un impegno economico importante ma non insostenibile, a condizione di coltivare il necessario consenso popolare.
Il fattore Stati Uniti rimane comunque cruciale per gli equilibri globali. E a sua volta questo dipende in larga misura dalle variabili di politica interna più ancora che dall’ascesa della Cina come grande potenza con forti ambizioni. Gli Stati Uniti sono un Paese politicamente molto polarizzato, ma economicamente molto dinamico e comunque in grado di rinnovarsi; lo dimostra il vantaggio ancora netto anche verso la stessa Cina in settori di punta come l’intelligenza artificiale.
Sul fronte mediorientale l’attacco di Hamas contro Israele del 7 ottobre è stato un evento analogo all’11 settembre 2001 per la portata degli effetti politici e psicologici sul senso di sicurezza di un Paese che ha costruito la sua stessa identità sulla forza organizzativa e la coesione interna. Un effetto collaterale, dovuto alla reazione militare di Israele, è di tipo diplomatico, cioè un marcato isolamento di Tel Aviv nel contesto internazionale, perfino nel rapporto con i suoi maggiori alleati e partner. Al contempo, la reazione complessiva dei Paesi occidentali, pur con i loro caveat, ha gravemente danneggiato la reputazione dello stesso modello occidentale in molte regioni del mondo, anche al di fuori del Medio Oriente. E questo rischia di essere un danno durevole con effetti persistenti.
Quanto alla minaccia posta dagli Houthi yemeniti nel Mar Rosso, la persistente capacità di attaccare le navi mercantili sta ostacolando seriamente il commercio tra Asia (Cina compresa) ed Europa, con strumenti non sofisticati ma efficaci. È finora risultato difficile esercitare una vera azione dissuasiva nei confronti degli Houthi, ma è di fatto in corso una parziale escalation: importanti interessi economici sono ormai colpiti dalla situazione tra il Golfo di Aden e Bab el-Mandeb, e l’opzione militare comprende sia una componente offensiva sia il pattugliamento marittimo a difesa delle navi. La questione, insomma, non è più soltanto locale né legata puramente ai rapporti interni allo Yemen o al possibile negoziato con l’Arabia Saudita. Si tratta di un altro caso in cui viene messo in questione un pilastro dell’ordine internazionale, per cui uno stretto coordinamento transatlantico e tra Paesi alleati – anche oltre il perimetro euro-americano – è assolutamente necessario.
I mercati, a cominciare da Wall Street, stanno scontando i numerosi rischi geopolitici globali in modo sorprendentemente ottimistico, concentrandosi più sul ciclo economico, alimentato soprattutto dalle innovazioni tecnologiche, che sulle crisi di sicurezza o sul difficile riorientamento di alcune catene del valore. Per i prossimi anni la sicurezza degli approvvigionamenti dipenderà comunque in larga misura dalla libertà di navigazione lungo le rotte marittime, mentre sta già aumentando la rilevanza strategica delle risorse naturali attualmente necessarie alle tecnologie rinnovabili – il che modifica la geografia delle filiere energetiche e industriali.
I due grandi driver dell’economia globale sono la rapida innovazione tecnologica – sempre più veloce nel settore digitale – e la transizione sostenibile – molto complessa, e con tempistiche ben diverse per le varie aree del mondo. Ad esempio le applicazioni possibili dell’intelligenza artificiale sono talmente ampie da risultare ad oggi imprevedibili, e dunque impossibili da regolamentare con precisione in chiave preventiva. Guardando specificamente ai large language models – come ChatGPT o il sistema Gemini di Google – allo stato attuale si tratta di sistemi piuttosto elementari che utilizzano strumenti statistici per imitare il linguaggio e la semantica umana. Tuttavia, il flusso di investimenti da parte dei giganti digitali è talmente massiccio da rendere molto probabile un rapido progresso di queste tecnologie, grazie alla grande disponibilità di dati costantemente aggiornati e alimentati. Tale combinazione favorisce grandi aggregati economici con regole flessibili, cioè al momento – per ragioni parzialmente diverse – il mercato americano e quello cinese. In questa ottica una maggiore consapevolezza diffusa sulle caratteristiche di questi sistemi digitali è decisiva, anche per consentire la corretta dialettica democratica e la tutela dei diritti civili: si tratta di un’operazione culturale che deve interessare l’intera società.