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Attività

Imprese italiane, mercati globali: come favorire l’internazionalizzazione delle PMI?

    • Milano
    • 20 Ottobre 2014

          Non di solo export si vive, ma senza export si muore. È anzitutto attorno a questa asserzione, inopinabile ancorché semplificata, che può inquadrarsi la questione della proiezione delle imprese italiane sui mercati globali. Una materia annosa, quella dell’internazionalizzazione delle PMI, che occupa il dibattito pubblico ormai da decenni, in parallelo con l’intensificarsi dei processi di globalizzazione e rivoluzione tecnologica. Con la grande crisi economica questo confronto evidentemente si è appesantito di ancor più complesse e gravose incognite, tanto da chiamare in causa la fisionomia stessa del modello produttivo italiano, le sue possibilità di resistere al rischio declino, la capacità di adattarsi e di competere nel nuovo ordine economico mondiale.

          È in questo scenario sempre più multicentrico ed esposto a trasformazioni accelerate che le PMI – o più propriamente le “reti d’impresa” nazionali – oggi operano, pagando certamente il prezzo di molte disfunzioni strutturali che connotano il sistema Italia nella sua esposizione all’estero, ma dimostrando di reggere l’onda d’urto della crisi. A dispetto, infatti, delle previsioni di quanti, anche di recente, preconizzavano una sostanziale obsolescenza della specializzazione produttiva delle imprese nazionali, quello italiano resta, al netto della produzione energetica, il quinto surplus commerciale su scala globale. Inoltre, a fronte delle diagnosi che denunciano un presunto eccessivo schiacciamento su filiere a bassa o medio-bassa incidenza della componente tecnologica, tra il 1994 e il 2013 il peso dei settori tradizionali nello stesso surplus commerciale nazionale è diminuito dal 74% al 30%.

          Questi dati testimoniano, dunque, la tenuta competitiva dell’export italiano in termini assoluti e anche una buona capacità, troppo spesso disconosciuta, di adattamento alle nuove sfide dei mercati mondiali. Tenuta e capacità che tuttavia, evidentemente, non esaudiscono da sole la necessità ineludibile di fare di più e molto meglio sul versante della proiezione estera del sistema industriale. Al contrario, la questione sembra potersi sintetizzare in una rappresentazione dell’Italia come “un Paese dal grande export, ma dalla bassa internazionalizzazione”.

          La caratterizzazione è solo apparentemente paradossale e bene contribuisce a decodificarla l’analisi di alcuni fattori di svantaggio esogeni al sistema produttivo italiano che ormai strutturalmente ne condizionano le prestazioni, sia da che verso l’estero. Da questa angolatura, gli elementi di “repulsione” (come, tra i numerosi esempi possibili, l’incertezza e la complessità del contesto normativo, le dimensioni del peso della burocrazia sulla vita delle imprese, la fiscalità) e quelli di “attrazione” (il genius loci italiano o la vivacità di alcune esperienze istituzionali come la Simest o la Cassa Depositi e Prestiti) concorrono insieme a fare dell’internazionalizzazione un tema ben più vasto di quello relativo solo all’export, interessando il modello stesso di sviluppo italiano, le dinamiche del mercato (anche interno), le possibilità di “conquistare il mondo” con prodotti tangibili e intangibili.

          Va da sé che, così impostata, la materia da particolare si fa generale e investe la più complessiva politica industriale nazionale nel contesto europeo e globale, con tutto quello che ciò comporta in termini di visione strategica dell’Italia  e di predisposizione o affinamento degli strumenti istituzionali a disposizione delle imprese che internazionalizzano (capacità di intelligence, circolazione delle informazioni, analisi della domanda, presidio, supporto manageriale, delivery dei servizi).

          Sullo sfondo – fondamentale, specie in una stagione di persistente crisi economica – il tema dell’accesso al credito, nell’ambito del quale l’Italia pare scontare l’assenza di un grande istituto bancario di proiezione globale che svolga oggi, naturalmente con modalità diverse e aggiornate, l’utile funzione operata in passato da quelle banche di interesse nazionale che tanta parte hanno avuto nella storia economica italiana del Novecento.