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Engaging the Global South: the role of women in addressing key challenges

  • Roma
  • 14 Febbraio 2024

        Secondo l’ultimo rapporto “Women, Peace and Security” del segretario generale delle Nazioni Unite, nel 2022 più di 600 milioni di donne e ragazze vivevano in paesi colpiti da conflitti, con un aumento del 50% rispetto al 2017. 

        È ormai assodato che la vita delle donne e delle ragazze è colpita in modo sproporzionato dalle emergenze umanitarie, come quelle legate ai conflitti, all’insicurezza alimentare e ai cambiamenti climatici. Tali crisi non prescindono dal sesso dell’individuo e spesso non fanno che esacerbare pratiche discriminatorie preesistenti. Tuttavia, le donne continuano a essere escluse dai programmi mirati e dai processi legati alle risposte politiche necessarie, i quali, a loro volta continuano a non rispecchiare i loro bisogni; al contempo, i policymaker perdono l’opportunità di trarre beneficio dalle posizioni di cui donne e ragazze sono portatrici.

        Poiché l’universo femminile sopporta tuttora un fardello diverso (e aggiuntivo) dei vari conflitti, riconoscere gli effetti della guerra connessi al genere è essenziale per sviluppare risposte di tipo olistico che tengano conto sia delle diverse esperienze di crisi legate ai conflitti e alla sicurezza, sia dei bisogni, degli interessi e dei punti di vista delle donne stesse.

        Allo stesso tempo, le donne non sono esclusivamente vittime di queste situazioni: se riescono a superare gli ostacoli strutturali alla loro partecipazione, godono di una posizione unica quanto al contributo a soluzioni sostenibili e a un livello di pace e stabilità più incisivo. Le loro intuizioni, le conoscenze acquisite e i ruoli che svolgono all’interno delle proprie comunità e famiglie sono invero fondamentali.

        La correlazione tra empowerment delle donne, uguaglianza di genere, stabilità economica, pace e sicurezza è stata ampiamente dimostrata da ricerche e dati specifici. 

        Le prove a sostegno di questa tesi, per esempio, rilevano un legame diretto tra la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e la crescita economica di un paese. Inoltre, è più probabile che i colloqui di pace affrontino le cause alla radice, e producano risultati più sostenibili: la probabilità che un accordo di pace duri almeno 15 anni aumenta del 35% quando le donne sono coinvolte in modo significativo. Gli impegni delineati nella “Beijing Platform for Action” (Piattaforma d’azione di Pechino) del 1995 e nella Risoluzione 1325 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite del 2000, riconoscono chiaramente il ruolo cruciale delle donne nella prevenzione e risoluzione dei conflitti, nei negoziati di pace, nella costruzione e nel mantenimento della pace, nelle risposte sul piano umanitario e nella ricostruzione post-conflitto.

        Dunque, se l’inclusione e la partecipazione significativa delle donne è fondamentale per affrontare le sfide contemporanee della pace e della sicurezza globale, è necessario ridurre quanto prima il divario di genere. Secondo le stime più ottimistiche, infatti, con il ritmo attuale ci vorranno 130 anni per colmarlo a livello mondiale. A tal fine, è fondamentale raccogliere dati e prove per comprendere meglio queste correlazioni e l’impatto delle crisi su donne e ragazze. I dati permettono di sviluppare misure mirate, affrontando anche la natura interconnessa dei diversi tipi di discriminazione e la diversità propria delle donne. 

        Allo stesso tempo, andrebbe riconsiderata anche l’intera struttura del potere. Se è doveroso che le donne siedano al tavolo, devono poter contribuire alla sua progettazione. In altre parole, le donne devono essere coinvolte fin dall’inizio nel processo decisionale. È essenziale, pertanto, aumentarne la partecipazione in tutti i campi: dal mercato del lavoro alla leadership politica, fino ai processi di pace e agli sforzi per mitigare gli effetti delle numerose crisi in corso. Questo obiettivo potrebbe essere raggiunto attraverso misure obbligatorie e/o lavorando con maggiore efficacia all’interno delle diverse organizzazioni e strutture per favorire un approccio che risponda proprio alle esigenze di genere. È necessario, dunque, un cambiamento che si riveli positivo, attraverso politiche e incentivi dedicati, nonché un maggiore sostegno alle organizzazioni e alle reti della società civile guidate dalle donne. Senza trascurare che anche l’empowerment finanziario è senz’altro decisivo in termini di accesso: è dimostrato che istruzione e meccanismi finanziari in grado di promuovere i partenariati pubblico-privato sono importanti acceleratori in tal senso.

        In quest’ottica, il G7 ha senza dubbio un ruolo importante da svolgere. La presidenza italiana del G7 arriva in un momento molto impegnativo, con molteplici crisi, per di più intersecate tra loro: è imprescindibile una risposta collettiva, che coinvolga anche il cosiddetto Sud globale. Una risposta, va da sé, che includa una significativa partecipazione delle donne. Questo obiettivo può essere raggiunto sfruttando a proprio favore l’agenda “Women, Peace and Security” e quadri normativi analoghi, ma anche rafforzando gli strumenti creati ad hoc per promuovere l’attuazione di tale agenda, come le reti di donne mediatrici. Accelerare il processo volto a colmare il divario di genere, e quindi beneficiare del ruolo chiave svolto dalle donne nell’affrontare le sfide globali, dovrebbe essere incluso tra le priorità “trasversali” del G7.