Vai al contenuto
Attività

L’Italia declinata al futuro. Valori, cultura, competenze, competitività

    Incontro con Alessandro Pansa
    • Roma
    • 26 Maggio 2011

          Il tema dell’incontro ha impegnato i partecipanti ad interpretare le singole sfide dell’Italia attraverso un modello di riferimento più ampio. La proiezione inerziale di lungo periodo rappresenta un Paese che invecchia, con una crescente immigrazione, un allargamento del dualismo Nord-Sud, la permanenza di un penalizzante deficit pubblico, una produttività insufficiente a mantenere il benessere raggiunto. Questo quadro alimenta la storica e diffusa retorica italiana del declino e della sconfitta. A ciò si aggiunga che spesso non abbiamo una lettura chiara della situazione per i limiti delle metriche che adottiamo: dobbiamo saper misurare e analizzare meglio. La conseguenza è un elenco eccessivo di grandi problematiche nazionali, superiore a quello che potrebbe essere rilevato in altri paesi, come ad esempio la Germania. Confrontarsi con troppi temi simultaneamente è velleitario e indebolisce la politica riformista, seppur lodevole. D’altra parte non è realistico sperare che l’Italia possa trovare una soluzione ai propri problemi attraverso un’imprevista discontinuità, uno shock che determini un cambiamento radicale.Il sistema è complesso, corporativo, relativamente bloccato da privilegi che nessuno intende ridurre, con una solida governance distribuita a livello comunitario, nazionale e locale.

          Le risorse fondamentali per “declinare l’Italia al futuro” possono essere individuate nelle tre caratteristiche che il sociologo americano Daniel Bell auspicava per una società occidentale: liberale in politica, socialdemocratica in economia e conservatrice in cultura.

          Una società che sia liberale in politica impegna alla revisione del metodo di cooptazione delle élite del Paese. Sostenendo, oltre che il fondamentale riconoscimento del merito, anche la definizione di limiti massimi di età per determinati ruoli di vertice o per l’accesso alla dirigenza.

          Una società socialdemocratica in economia deve perseguire un’adeguata distribuzione della ricchezza, che nel nostro Paese appare sbilanciata, al fine di accrescere il benessere generale. Nel mercato del lavoro la flessibilità deve essere compensata da un adeguato livello di sicurezza, non solo economica, ma soprattutto per salvaguardare la dignità che consenta a chi è in età di lavoro di essere continuamente parte del corpo sociale. Vi sono giovani cui “non pesa nulla non sentirsi più padroni del proprio destino”, ma ve ne sono altri che hanno un’ambizione per il futuro. Questi giovani devono assumersi una responsabilità collettiva e agire con un approccio etico.

          Una società conservatrice in cultura deve alimentare questa risorsa fondamentale per la propria identità, coesione, evoluzione e competitività. Una società non è nulla se non ha la consapevolezza del proprio percorso e non ha le chiavi di lettura del mondo. Oggi l’Italia rischia di non avere tali chiavi di lettura e di non conoscere sé stessa a causa della superficialità dei  contenuti informativi e culturali. Una élite in senso liberale deve avere una cultura profonda  e omogenea. Viene, a tale riguardo, affermata la centralità della nostra scuola secondaria, l’importanza di sostenere l’obiettivo di avere alcune fra le nostre università classificate tra le migliori al mondo, di stabilire un legame più solido fra università e Paese.  

            Contenuti correlati