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Attività

Imprese familiari per lo sviluppo responsabile

    • Vicenza
    • 29 Settembre 2013

          La capacità di recupero delle imprese familiari, che rappresentano oggi più del 60% delle medie e grandi imprese a livello nazionale, non si è smentita anche nel corso dell’attuale crisi. Tuttavia, il protrarsi di un ambiente recessivo e della stretta creditizia, oltre al naturale ricambio generazionale, sta costringendo molte di queste aziende a ripensare radicalmente i propri modelli di business e le strutture finanziarie e di proprietà per tornare a crescere e non soccombere alla feroce competizione globale.

          In un momento così cruciale della propria esistenza, la trasmissione di valori etici tra generazioni, la sussidiarietà e la creazione di prosperità sociale nelle comunità locali, che va oltre i termini meramente economici e integra il traballante sistema di welfare pubblico, rappresentano i fattori chiave in grado di sostenere il rinascimento delle imprese familiari – e, di conseguenza, dell’economia italiana nel suo complesso. La promozione di uno stile etico, della cultura del rispetto e dell’estetica, se inserita nella strategia dell’impresa, può rappresentare un fattore competitivo per un modello di crescita sostenibile, un aspetto ancora più importante nell’era dei social media in cui i comportamenti hanno un effetto diretto sulla reputazione.

          Per mantenere le radici delle imprese familiari ben piantate nelle loro aree di origine, l’ambiente circostante deve essere competitivo e aperto all’innovazione: l’istruzione è dunque di vitale importanza, ed è necessario che le eccellenze locali partecipino alla definizione delle competenze e delle professionalità richieste. Dopo decenni di graduale acquisizione di know how, sufficiente a difendere il loro margine di competitività, le imprese familiari devono oggi affrontare rilevanti discontinuità e complessità determinate dalla rivoluzione tecnologica. Questo richiede un’innovazione costante e nuove competenze che contribuiscano a gettare le basi per l’integrazione delle generazioni più giovani e dei “nativi digitali” nelle imprese familiari. A tal fine, regole di governance chiare e una separazione tra gli interessi di famiglia e le priorità dell’azienda, a cui vanno aggiunte meritocrazia e incentivi competitivi per i risultati ottenuti, sono elementi chiave per attrarre talenti e manager di alto livello in posizioni dirigenziali.

          Il ricambio generazionale implica inoltre l’educazione di una nuova leva di proprietari che non necessariamente diventeranno i dirigenti delle aziende di famiglia e che devono essere in realtà incoraggiati a compiere scelte autonome sulla base delle proprie aspirazioni personali. Queste nuove generazioni preferiscono trovare un equilibrio che concili la vita privata con il lavoro e hanno bisogno di sentirsi ispirate per decidere di impegnarsi in maniera attiva. In assenza di spiccate attitudini dirigenziali, di uno spirito imprenditoriale e di un impegno appassionato in favore dell’impresa di famiglia e dei suoi valori, le generazioni subentranti (soprattutto nell’ambito di famiglie allargate che spesso perseguono obiettivi divergenti) potrebbero essere invece formate per diventare proprietari non attivi ma competenti dal punto di vista finanziario – nell’interesse dell’azienda.

          Quei membri della famiglia che invece sono interessati e capaci di assumere posizioni dirigenziali, hanno spesso dimostrato che la formazione migliore può essere ottenuta svolgendo ruoli operativi nelle aziende affiliate prima di assumere la guida dell’impresa di famiglia, un percorso che li legittima inoltre agli occhi delle gerarchie aziendali.

          Per riuscire ad attrarre talenti provenienti da grandi multinazionali, le imprese di famiglia devono inoltre dimostrare di possedere dei piani di crescita per individuali e aziendali. A causa della prolungata fase di recessione dell’Italia e dell’evaporazione del credito bancario come principale fonte di finanziamento, dovuta in parte all’irrigidimento delle normative bancarie, tali prospettive di crescita hanno subito una drastica contrazione. Di fronte alla necessità ampiamente riconosciuta di ricapitalizzare le proprie aziende e ridurre il rapporto di indebitamento, cui deve essere aggiunta l’impraticabilità di fusioni su ampia scala con aziende dello stesso settore, i proprietari dovrebbero essere incoraggiati ad aprire il capitale dell’azienda a nuovi investitori, articolando chiare regole di governance e accettando valutazioni più realistiche per il contesto post-crisi. Le società di private equity che operano in Italia, forti dell’esperienza nel settore, della rete internazionale e degli interessi a medio e lungo termine, rappresentano i partner naturali per sostenere ed espandere le imprese familiari in questa fase delicata che vede l’assenza di capitale di rischio. La recente introduzione di innovativi strumenti di capitale non diluitivi, come le Azioni Sviluppo, e l’adozione di determinate tipologie di quote esistenti in altri paesi, come le Azioni a voto plurimo, oggi vietate dalla legge, sono alcuni esempi di misure che il legislatore può promuovere con l’obiettivo di attrarre investitori professionisti stranieri nella proprietà delle imprese familiari in cerca di capitale.

          Oltre a semplificare il quadro normativo e consolidare il principio della legalità, alcuni strumenti mirati di politica economica e industriale, quali il rilancio della borsa nazionale per le piccole e medie imprese e gli incentivi fiscali per gli strumenti di capitale, possono favorire la crescita e l’accesso al capitale di rischio. Infine, il mandato pubblico del Fondo Strategico Italiano ad agire come investitore di minoranza in imprese con una posizione finanziaria solida, insieme all’esperienza di attori di private equity nel settore, apre la strada a iniziative di co-investimento in aziende che non hanno le dimensioni per competere sul mercato globale.