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Attività

Una PA moderna per i cittadini e le imprese

    • Roma
    • 13 Novembre 2013

          Secondo i due più noti sistemi di misurazione della libertà economica esistente in un Paese, il funzionamento delle Pubbliche Amministrazioni è un parametro di misura fondamentale. Nel contempo, è noto come nei Paesi che dispongono di una PA all’altezza delle aspettative dei cittadini, questi ultimi possano trovare accettabile anche un elevato livello di imposizione fiscale.

          Purtroppo, il quadro generale delle Amministrazioni pubbliche italiane appare ben lontano dalle attese di cittadini e imprese. Da una parte, l’incompiuta attuazione delle riforme disegnata introdotte dalla legislazione approvata negli anni novanta e, dall’altra, le profonde contraddizioni che caratterizzano il modello di federalismo delineato dalle modifiche del titolo quinto della Costituzione licenziate dal parlamento più di dieci anni orsono, appaiono come le principali cause dello stato, certamente preoccupante, in cui si trova oggi l’apparato pubblico italiano, così al centro come in periferia.

          La confusione e la indeterminatezza delle norme sull’assetto federale dello Stato hanno determinato una paralizzante mole di conflitti di attribuzione tra i diversi livelli territoriali di governo. Alla carente e incompleta applicazione delle riforme di fine Novecento si deve se, invece della separazione tra politica e amministrazione, che costituiva il positivo canone ispiratore di quelle normative, si è realizzata una condizione di sostanziale “separatezza” tra responsabili politici e vertici amministrativi.

          Le conseguenze di tutto ciò sono gravi e, in primo luogo, si riflettono sulla tempestività e sulla qualità delle decisioni, nella cui preparazione gli aspetti formali prevalgono di gran lunga su quelli legati all’individuazione della soluzione più efficace. Quest’ultimo aspetto riflette la mancata introduzione degli strumenti di misurazione, valutazione e controllo dell’azione amministrativa e dei suoi effetti.

          L’elenco delle criticità è ancora lungo: i modelli organizzativi sono spesso obsoleti, molti processi produttivi sono d’impianto sostanzialmente pre-tayloristico, le procedure di reclutamento del personale sono antiquate, quelle di selezione per la preposizioni ai vari incarichi spesso casuali. Più in generale, appaiono del tutto insufficienti gli strumenti usati per la gestione del personale. In questo campo, è da considerare con interesse l’istituzione di un ruolo unico del personale pubblico, che riprenda la troppo breve esperienza maturata con riguardo ai soli dirigenti.

          L’età media del personale è notevolmente cresciuta negli ultimi a causa del reiterato blocco delle assunzioni, a fini di contenimento della spesa; data la minore dimestichezza dei dipendenti più anziani con gli strumenti informatici, ciò determina notevoli limitazioni nella diffusione pratica dell’uso di questi, che pure in molti casi sono ormai normativamente previsti (posta elettronica, posta certificata, firma digitale ecc.) e spiega, almeno in parte, la perdurante insufficienza degli effetti della digitalizzazione.

          In queste condizioni appare difficile aspettarsi che la PA diventi un elemento di modernizzazione del Paese, capace di incrementare la competitività del sistema produttivo nazionale, come avviene, ad esempio, in Germania. Realisticamente, si deve invece dire che le Pubbliche Amministrazioni italiane sono oggi in grado di svolgere, nella stragrande maggioranza dei casi, solamente le funzioni elementari. Esistono, naturalmente, “isole” di particolare valore per efficienza e qualità del prodotto, ma sono poche.

          Ed è altrettanto naturale che a condizionare la PA siano anche fattori esterni, il più potente dei quali è l’assetto degli interessi che attorno ad essa ruotano; a ciò si accompagna uno scarso interesse della politica per lo stato degli strumenti amministrativi – che pure sono indispensabili per l’azione di governo a tutti i livelli – e, per chiudere il cerchio, la cattiva qualità della legislazione, troppo spesso oscura, intrusiva nei diritti dei cittadini, fonte di complicazioni e di contenziosi. Fondamentale e urgente risulta, a questo riguardo, un deciso incremento delle attività di valutazione di impatto della legislazione, attualmente del tutto carenti.

          L’insuccesso delle riforme non sembra riconducibile alla carenza di informazioni sulle Amministrazioni Pubbliche, almeno non per quanto riguarda i “macrodati”. Mancano invece i “microdati”, indispensabili per approfondire l’analisi delle strutture, dei loro carichi di lavoro e del loro prodotto. In questo modo sarebbe possibile individuare quelle da assumere come esempio, in modo da poter realizzare le conseguenti azioni di riforma usando il bisturi e non l’accetta. Ma la mancanza di questo tipo di dati è ascrivibile, in larga misura, alla carenza degli strumenti di misurazione e valutazione prima ricordata.

          Per tentare di uscire da questa allarmante crisi, occorre pensare anche e soprattutto ad una svolta metodologica: poiché non è possibile risolvere le situazioni complesse tipiche del nostro tempo se non con decisioni che si facciano carico fino in fondo di tale complessità, occorre un nuovo sistema di regole fondato sulla valutazione dei vantaggi comparativi, accompagnato da una coerente riforma del sistema dei controlli.