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Attività

Sistema Europa: quale scenario dopo lo tsunami?

    • Milano
    • 26 Gennaio 2009

          L’ultima delle “bolle”, quella immobiliare, generata dall’implosione della struttura finanziaria USA, è il punto finale di oltre un decennio di politiche monetarie americane miopi e di un sistema di sorveglianza insufficiente. La situazione è particolarmente grave: è previsto che la crescita mondiale passi dal 5% del 2007 a poco più dell’1% nel 2009. Si tratta dunque di una recessione la cui durata non è ad oggi prevedibile.

          La crisi non ha messo solo in ginocchio il sistema finanziario americano e posto sotto accusa le regole che lo governano: ha anche dato una severa scossa ai modelli di sviluppo di alcuni paesi europei. Chi, come il Regno Unito, la Spagna, l’Irlanda avevano basato la loro crescita sulla centralità immobiliare-finanziaria si trovano oggi maggiormente esposti rispetto a Italia, Germania e Francia che hanno puntato anche su altri settori.

          Per affrontare una situazione così difficile sono state adottate una serie di misure che hanno avuto come obiettivo primario quello di diminuire l’impatto della crisi sulla società e sul sistema industriale. Non siamo dunque ancora fuori dalla crisi finanziaria e non è pensabile che strumenti di intervento  adatti alla crisi economica risolvano anche la prima. Anzi, presto avremo a che fare con gli aspetti negativi generati da alcune di queste misure.

          La soluzione alla crisi finanziaria è giuridica, ma deve passare attraverso la creazione di un sistema di regole e valori il più largamente condivisi. Non è infatti pensabile che un tale sistema sia realmente efficace laddove non venga sottoscritto anche e soprattutto dagli Stati Uniti.

          Durante il dibattito è stato osservato che in Europa la Commissione – secondo alcuni – ingessata e una BCE – secondo alcuni  – riluttante per vari motivi a seguire politiche intraprese da altri Paesi, hanno fatto da sfondo ad una intensa attività politica dei capi di governo dei maggiori Paesi europei, sancendo in questa fase il primato del metodo intergovernativo su quello comunitario.

          Gli interventi concordati tra i capi di Stato europei hanno dato vita a pacchetti di aiuti declinati secondo le realtà dei singoli Stati. Le misure contenute, pur se perfettibili nella efficacia ed esecuzione, possono creare i presupposti per far ripartire il sistema. Alcuni imprenditori hanno suggerito di condizionare le misure salva banche ad una maggiore fruibilità del credito. Questo fatto – unitamente alle facilitazioni fiscali – metterebbe le imprese in grado di cogliere le occasioni di acquisizione e di espansione offerte dalla crisi. Il risultato sarebbe quello di ritrovarsi con alcuni campioni forti e meglio equipaggiati a competere sul mercato globalizzato.

          Se non è prevedibile la fine della crisi, lo è però la necessità di riflettere su una possibile “exit strategy”. Gli Stati, per la prima volta chiamati ad intervenire in economia non per una loro scelta di politica industriale, sapranno fare quel passo indietro necessario a garantire il ritorno alla normalità? Una normalità che – come auspicato da tutti – dovrà essere una economia sociale di mercato o, come definito da alcuni, una economia reale di mercato caratterizzata da una sana intersezione tra il sistema industriale e il sistema di credito. Le due altre alternative – è stato osservato – non sono auspicabili: inflazione generata dalla massa di liquidità immessa nell’economia a fronte di una domanda inadeguata oppure il fermo delle attività economiche e due anni di deflazione di tipo giapponese.

          Infine è stata espressa una sostanziale fiducia sulle capacità dell’Europa di uscire da questa crisi rafforzata economicamente e dotata di un sistema infrastrutturale più adeguato. L’Unione Europea, grazie alla sua diversità, sarà meglio equipaggiata ad affrontare la globalizzazione rispetto alla omogeneità di Stati Uniti e Giappone.

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