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Attività

The next frontiers: tapping the potential of our economies

    • Roma
    • 29 Giugno 2014

          È ben noto da tempo che la ripresa dalla crisi economica degli ultimi anni è particolarmente lenta in termini storici, e i dati più recenti stanno confermando i timori per un possibile ulteriore rallentamento. A maggior ragione, nell’attuale contesto globale la crescita deve essere la priorità assoluta per l’Europea nel semestre di presidenza italiana. L’analisi prevalente è stata a lungo che il crollo della domanda fosse il problema centrale. Poi si è verificata la crisi di vari paesi della “periferia” europea e si è affermata l’idea che la principale via d’uscita fosse quella delle riforme strutturali. È a quel punto arrivato il crollo (parziale) del settore bancario, ricordando a tutti che la crisi è stata anzitutto finanziaria.

          Quello che continua a mancare nelle misure finora adottate per fronteggiare la crisi è una scelta senza ambiguità a favore della crescita e dell’occupazione. È necessario guardare alla situazione strutturale prima della crisi: l’Europa aveva già allora un problema di crescita lenta. La migliore ricetta oggi, come allora, è anzitutto più integrazione nel senso del mercato unico, ma anche più integrazione a livello globale (grazie all’apertura dei mercati). Il secondo aspetto è quello delle riforme strutturali, anche se esse sono in parte country-specific e per definizione portano benefici tangibili soprattutto nel medio e lungo termine.

          Un nodo cruciale è quello degli investimenti, che sono declinati in misura consistente negli ultimi anni. Il rilancio degli investimenti riguarda essenzialmente il clima economico complessivo: va riattivato un circuito virtuoso di fiducia che faccia crescere tanto la domanda quanto l’offerta.

          È stato sottolineato in proposito da alcuni partecipanti che gli investimenti seguono sempre la domanda, non la anticipano; in altre  parole, se il mercato non è chiaramente in grado di assorbire l’offerta gli investitori resteranno molto prudenti. Ciò significa che il sistema globale potrebbe assestarsi su una situazione di over-capacity e bassa crescita, mentre le politiche governative si scontrano con la cosiddetta “trappola della liquidità”.

          È stato anche rimarcato che la distinzione spesso operata tra paesi creditori e debitori è fuorviante poiché le riforme strutturali sono necessarie in tutti i paesi dell’Unione, nonostante le loro diverse situazioni di partenza. Inoltre, il fattore chiave per un vero rilancio è la produttività piuttosto che la competitività in quanto tale, e dunque non è corretto concentrarsi sull’obiettivo dei surplus (che naturalmente non possono comunque essere raggiunti da tutte le grandi economie) ma occorre invece sfruttare appieno il potenziale di crescita.

          Da una prospettiva specificamente europea, le priorità sono assai chiare: investimenti nell’innovazione, una politica industriale per il rilancio del manifatturiero, impegno per i negoziati TTIP con gli Stati Uniti, creazione del mercato unico energetico (la cui urgenza è stata mostrata chiaramente dalla crisi russo-ucraina, che potrebbe consentire ora di superare la resistenza ad una vera integrazione del settore), maggiori sforzi per rendere compatibile l’agenda ambientale con gli obiettivi di crescita.

          In una prospettiva globale, i trend demografici – basti guardare ad una grande economia come la Cina, che nei suoi anni di “decollo” ne ha tratto grande vantaggio – pongono dei limiti oggettivi alla crescita strutturale nei prossimi anni. Le traiettorie sono state fin qui assai differenti, ma sta aumentando il grado di convergenza a livello mondiale. Il modello cinese è stato finora una combinazione “estensiva” dei fattori di produzione, mentre ora si sta spostando verso un modello più’ “intensivo” (con maggiore enfasi sull’innovazione e il capitale), cioè’ più simile alle economie mature.

          Complessivamente, i trend stanno tornando simili alla situazione precedente alla crisi, ma c’è l’importante differenza che anche un tasso di crescita più moderata delle economie emergenti, la loro dimensione è intanto aumentata e dunque il loro contributo è molto maggiore che in passato. L’altro dato positivo è che i temuti vincoli energetici si stanno rivelando meno gravi del previsto e sembrano essere superabili.

          È stato sottolineato che restano però vari squilibri: uno squilibrio sociale e di distribuzione del reddito, particolarmente pericoloso in condizioni di stretta interdipendenza; uno squilibrio tra surplus e deficit commerciale, per cui il surplus tedesco è più grande oggi di quanto siano mai stati quelli giapponese e cinese; uno squilibrio demografico, con lo spostamento di ricchezza dalle nuove generazioni a quelle vecchie, il che ha contribuito a indebolire la domanda globale.

          L’Africa come nuova frontiera della crescita è stata oggetto di un’analisi approfondita. Il continente africano è la seconda regione con la crescita più rapida dopo l’Asia orientale, e registra l’ascesa di una numerosa classe media (che si prevede più numerosa di quella statunitense nel 2020). Lo

          stato carente delle infrastrutture sta però frenando la crescita e la competitività, sebbene sia diventando più centrale il ruolo del settore privato nel finanziamento di alcuni grandi progetti, molti dei quali transfrontalieri.

          Le fonti di energia sono disponibili, ma gli investimenti sono largamente insufficienti a sfruttare questo potenziale.

          La qualità della governance è da sempre un fattore decisivo, nel bene e nel male, per le prospettive di crescita equilibrata dei paesi africani. e complessivamente la situazione è migliorata negli ultimi anni da questo punto di vista. È stato evidenziato che un ruolo determinante è quello dei partiti e movimenti di opposizione in quanto strumento di stimolo e controllo per le classi dirigenti al potere.

          Altro aspetto decisivo è la capacità di accrescere il livello di innovazione delle economie africane, che a sua volta è strettamente legato all’istruzione e alla formazione professionale. In tal senso è naturalmente cruciale il rapporto tra settore pubblico e privato.

          Certamente il clima per il business è già profondamente cambiato per il meglio con molte opportunità che sono destinate ed aumentare – ma ciò non offre alcuna garanzia sulla qualità della crescita in termini di uguaglianza e distribuzione del reddito. Vi sono molte analogie con la traiettoria seguita dall’Asia orientale negli ultimi due decenni.

          I fondi sovrani e il private equity stanno guardando con sempre maggiore interesse all’Africa, non soltanto nei tradizionali settori delle risorse naturali e dell’energia, ma anche del turismo, delle manifatture e dell’agricoltura. Il sistema bancario deve compiere un salto qualitativo ma anche qui ci sono alcuni segnali positivi.

          Un errore ricorrente in chiave storica è stata la tentazione di giocare una partita geopolitica nel continente africano, sfruttandone le risorse in modo diretto per cercare soprattutto di trarne beneficio in altre regioni del mondo. L’altro errore ricorrente è stato il pessimismo cronico nei confronti del futuro del continente, come una fonte di rischi e problemi che possono soltanto essere limitati o tenuti a distanza.

          Il paradosso è che in questa fase di crescita sostenuta, il rischio di conflitti potrebbe in effetti aumentare, con la polarizzazione di vari gruppi etnici o religiosi.

          Il mercato energetico globale è stato l’ultimo tema dell’incontro, partendo dalla constatazione condivisa che questo settore presenta caratteristiche uniche rispetto a qualunque altro settore delle economie contemporanee.

          Non è facile valutare quale sarà l’impatto dello shale gas americano, viste le incertezze sulla possibile destinazione di export dagli Stati Uniti: molti osservatori ritengono che questa sarà soprattutto l’Asia (e non l’Europa, nonostante le grandi aspettative).

          L’Europa è in una situazione contraddittoria: la domanda europea è prevista stabile per il prossimo decennio, ma la produzione continentale sta declinando, il che implica soprattutto che la domanda di gas russo è destinata ad aumentare nonostante i rischi geopolitici evidenziati dalla crisi ucraina. Sarà comunque cruciale migliorare le interconnessioni in Europa per favorire il movimento di gas, cosa tecnicamente fattibile senza particolari ostacoli e che finora ha incontrato difficoltà anzitutto politiche.

          I limiti strutturali delle rinnovabili (soprattutto la loro disponibilità soltanto per alcuni periodi) rendono ancora più necessario un sistema integrato europeo che possa garantire uno scambio efficiente di forniture per colmare i vuoti lasciati dalle rinnovabili. L’esistenza stessa di compagnie nazionali, invece che propriamente europee, riduce le opzioni disponibili per organizzare il mercato. Anche il grado di diversificazione che già esiste non può dunque essere sfruttato appieno, mentre alcuni nuovi progetti infrastrutturali si giustificano soltanto con l’attuale frammentazione e dovrebbero invece essere valutati in un’ottica più ampia. L’over-capacity oggi non sta beneficiando i consumatori perché le regole europee adottate nel 2003 (in una fase di offerta insufficiente) proteggono in effetti i produttori anche ora che il quadro è profondamente cambiato.

          A livello globale, anche altri produttori stanno entrando in modo massiccio nel mercato del gas, dalla Cina all’Australia al Mozambico: questo potrebbe cambiare gli assetti mondiali in misura assai maggiore di quanto stia già facendo il nuovo ruolo degli Stati Uniti.

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