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Attività

Mediacracy: i nuovi rapporti tra potere mediatico e potere politico

    • Milano
    • 20 Gennaio 2014

          I media hanno intrecciato la propria storia con il potere (e la capacità di controllarlo) fin dai propri esordi. È il caso delle prime gazzette sorte nel Seicento in varie città d’Europa, ma non si possono dimenticare evoluzioni fondamentali del fenomeno come il “Trattato sulla tolleranza” di Voltaire che – con un’opera di denuncia per niente lontana da una moderna campagna giornalistica – ottiene importanti ricadute nella società francese del XVIII secolo. Eppure se questa relazione fra media e potere ha contraddistinto l’Ottocento (in cui si affina la dimensione di controllo e sfiducia costruttiva dei giornali, a partire dall’Inghilterra) e il Novecento, non spiega l’attuale processo di mutazione della stampa che, fra i diversi media, sembra quello maggiormente esposto alle trasformazioni imposte  da una società sempre più “iperconessa”.

          Del resto, le trasformazioni tecnologiche e l’avvento di un nuovo potente canale distributivo come il web non bastano da soli a giustificare il declino dei giornali e il cambiamento del modello di business che viene imposto, globalmente, ai gruppi del settore media. Il declino della stampa, infatti, è iniziato ben prima della diffusione di internet e si può far coincidere con uno dei punti più alti del giornalismo: la rivelazione dello scandalo Watergate con cui, all’inizio degli anni Settanta, i media tradizionali esemplificano il proprio ruolo di “cane da guardia” della democrazia americana.

          Il problema è che gli ultimi decenni hanno provocato cambiamenti nei modelli di consumo con ricadute notevoli anche sui media: se il Novecento è stato un secolo di masse (prodotti di massa, partiti di massa e anche giornali di massa), il nuovo millennio impone nuovi paradigmi personalizzati: il consumo è sempre più centrato sulle singole esigenze del consumatore (fino ad arrivare all’iper-personalizzazione offerta dalle stampanti 3D) e così perdono presa anche le grandi ideologie che hanno animato la politica e condizionato i giornali. In un mondo in cui non è più possibile che tutti leggano la stessa cosa, insomma, i media hanno bisogno di una rivoluzione che, in primo luogo, non sia una rivoluzione tecnologica, ma una rivoluzione di contenuti. Ecco allora che per ritrovare quel ruolo di controllo e sfiducia costruttiva verso il potere, i mezzi di comunicazione devono scoprire nuove strade per tornare a incidere su una classe dirigente, oggi più attratta dall’analisi dei sondaggi che dalla scelta delle migliori soluzioni da adottare.

          E nel farlo devono da un lato innovarsi, smettendo (è soprattutto il caso della carta stampata) di identificarsi solamente con il proprio canale distributivo. È necessario, semmai, che diventino punti di riferimento capaci di orientare il lettore in una rete in cui non domina più la scarsità di notizie, ma regna un’abbondanza che spesso rende difficile distinguere ciò che vale dal rumore di fondo.

          Dall’altro lato però i media però devono cogliere la sfida di nuovi attori che sembrano giocare molteplici ruoli contemporaneamente: sono i grandi gruppi tecnologici che controllano la rete. Si tratta di soggetti che stanno diventando vere e proprie repubbliche digitali, capaci di riunire  insieme potere mediatico e potere politico, inteso come potere di condizionare le scelte a livello sovranazionale. Da un corretto rapporto (anche di business) con questi attori  può nascere un nuovo paradigma capace di garantire ai media – siano essi antichi marchi mainstream o nomi nuovi del settore – un futuro da protagonisti; offrendo ai discendenti delle vecchie gazzette la possibilità di mantenere autorevolezza e permettendo loro di continuare a stimolare, sorvegliare e orientare anche le nuove forme di potere.

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