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Attività

Low cost – high value: un nuovo modello di business per le imprese?

    • Milano
    • 16 Marzo 2009

          Il 70 % degli italiani prevede di ridurre le spese nel 2009. Era il 21% nel 2001, Il 29% nel 2002 e il 42% nel 2004. Un trend crescente che ora, in periodo di crisi internazionale, impone alle aziende di ripensare i propri modelli di business.
          Negli ultimi anni si è visto l’affermarsi di due atteggiamenti: da una parte la ricerca di un’elevata qualità (trascurando i costi finali) e, dall’altra, lo sviluppo di prodotti “primo prezzo”, che facevano della competitività economica la loro arma più convincente.

          Questa seconda tendenza, focalizzata sullo sviluppo di merci economiche, è quella che oggi dimostra maggiore vitalità, anche perché un prezzo basso non è più sinonimo di qualità scadente. Chi acquista merci low cost infatti non appartiene necessariamente alle fasce meno abbienti della popolazione (il 15-20% vicino alla soglia di povertà), ma è invece, sempre più spesso, un consumatore diverso, guidato nella propria scelta da componenti etiche, ideologiche o personali.

          La componente soggettiva del cliente è infatti fondamentale. Quando si parla di “basso costo – alto valore” non ci si riferisce infatti necessariamente alla qualità oggettiva dell’oggetto, ma alla sua qualità percepita. Il prodotto economico diventa dunque appetibile non solo in termini di “value for money” ma anche di “value for me”: viene giudicato dunque in base al trasporto emotivo che genera nel consumatore.

          Di questo enorme bacino di mercato si sono accorte da tempo le grandi catene straniere, mentre l’industria italiana sembra essersene disinteressata. Forse condizionata da difficoltà di accesso al credito o da scelte errate di governance, l’imprenditoria italiana non è riuscita a generare brand internazionali low cost nei settori che da sempre hanno caratterizzato il Paese (alimentari, abbigliamento e arredamento, su tutti). E proprio in questi comparti (almeno negli ultimi due) si sono invece affermati marchi che scontavano un “made in” sfavorevole (si pensi a celeberrimi brand svedesi o spagnoli).

          Questi soggetti hanno fatto dell’abbattimento dei costi e della collaborazione con il consumatore il proprio tratto distintivo e sono stati capaci di non svalutare i propri marchi grazie alla qualità oggettiva dei prodotti (la durata di un oggetto è tornata ad essere criterio determinante di scelta) e a un’efficace comunicazione (collocando i propri punti vendita nei centri cittadini o puntando con costanza su biologico ed eco-sostenibilità).

          Il concetto di “low cost – high value” non implica soltanto una riduzione ferrea dei costi di produzione, logistica e distribuzione, che sono indispensabili per qualunque azienda. Sviluppare la filosofia “basso costo – alto valore” determina un vero e proprio modello di business, non applicabile ad ogni settore. Le aziende devono avere nel proprio Dna la vocazione a dialogare con tale e a volte questo non è nemmeno sufficiente.

          Sarebbe un peccato però, da parte degli operatori economici, non confrontarsi con questo settore sempre più importante e trascurare un trend emergente di tale portata. I consumatori oggi spendono meno e sono meno soddisfatti e, superata la crisi internazionale, le aziende si troveranno di fronte una clientela profondamente cambiata.

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