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Attività

Lavoro, crescita, valori. Quali opportunità per le future generazioni?

    • Milano
    • 8 Maggio 2011

          La ripresa dell’economia mondiale non riesce ad attenuare il forte impatto sociale della crisi: il miglioramento della congiuntura non ha avuto effetti apprezzabili sull’occupazione, un fenomeno che colpisce sia i lavoratori dei settori più maturi – quelli maggiormente esposti alle conseguenze della globalizzazione – sia i giovani che si stanno affacciando sul mercato del lavoro. La crescita senza occupazione, evidente in Europa e Stati Uniti, inizia a contagiare anche le potenze emergenti come la Cina dove stanno aumentando i problemi di incontro fra domanda e offerta di lavoro.

          Per far fronte a questa situazione sono necessari nuovi paradigmi teorici e nuove strategie. Il problema dell’occupazione, in una situazione di crescente tensione per il debito pubblico a livello mondiale, lascia infatti agli Stati spazi di manovra alquanto ristretti. Per questo, insieme alle politiche di sviluppo, bisogna studiare adeguati strumenti di protezione sociale.  Durante i momenti più difficili della crisi, economie a forte vocazione manifatturiera come Germania e Italia hanno dimostrato la sostanziale efficacia di ammortizzatori sociali basati sull’impresa più che sul lavoratore; una scelta che ha consentito di non perdere professionalità preziose nella fase della ripresa.

          Inoltre, le soddisfacenti performance di sistemi ad elevata vocazione industriale hanno reso nuovamente attraente un modello di sviluppo basato sull’economia reale. In questo campo l’Europa, dove si sono mantenuti un notevole presidio manifatturiero e una certa preminenza nei settori a media tecnologia, può vantare una posizione più avanzata rispetto agli Stati Uniti. Tuttavia anche in ambito europeo sono necessarie strategie che incentivino l’innovazione in campo industriale, stimolando al contempo la produttività. I sussidi, infatti, se impiegati a sostegno di settori non più competitivi, possono rappresentare un freno più che un aiuto all’economia.

          Per formulare strategie coerenti a livello regionale è necessario un maggior coordinamento che identifichi le priorità economiche dell’Unione e le sostenga adeguatamente: la perdita di capacità produttiva causata dalle delocalizzazioni può significare in molti casi un impoverimento nella creazione di processi innovativi. Per invertire questa tendenza l’Europa deve utilizzare vari strumenti a sostegno dello sviluppo e delle infrastrutture, non ultimo quello degli Eurobond, su cui però il dibattito è ancora aperto.

          La crisi è stata un momento di ridefininizione degli equilibri a livello mondiale: tuttavia se da un lato la congiuntura ha colpito Europa e Stati Uniti contribuendo a ridurre la distanza con alcune economie emergenti, dall’altro ha aperto fratture interne alla società occidentali. L’Italia in particolare, si deve confrontare con il problema dell’inattività giovanile accompagnato a una calante mobilità sociale.  In un mercato del lavoro difficile come quello attuale, la soluzione migliore per creare nuove fonti di occupazione sembra lo stimolo (non solo economico, ma anche culturale) all’innovazione e all’imprenditoria giovanile.

          Per fare questo è fondamentale adattare il sistema educativo alle nuove sfide poste dalla globalizzazione. La stessa Cina sta rimodulando le proprie strutture formative, una volta fortemente orientate alle esigenze della ‘fabbrica globale’, verso modelli a più elevata specializzazione. In Italia, invece, sembra necessaria una maggiore integrazione fra sistema educativo e mondo del lavoro, che attraverso la formazione di professionalità in ambito tecnico crei figure preziose per l’innovazione delle imprese e favorisca l’occupazione giovanile. 

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