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Attività

Il futuro del sistema televisivo

    • Roma
    • 14 Marzo 2012

          La rivoluzione digitale della fine degli anni Novanta ha cambiato radicalmente il mondo della televisione. Oggi il prodotto audiovisivo è su internet, su smartphone, sui tablet: viene arricchita la capacità trasmissiva, perde ascolti la tv generalista e aumenta il livello di personalizzazione della fruizione. Cambiano, e in fretta, anche i modelli industriali: a breve sarà molto diverso il modo di fare televisione, di distribuirla, di renderla appetibile al mercato pubblicitario. 

          Ma è anche vero che il mezzo principe dell’ecosistema mediatico non è così in crisi come poteva sembrare. Lo ha scritto The Economist, lo hanno confermato i dati Nielsen: tutto sommato, pur nella grande rivoluzione portata dal digitale, la televisione ha ancora un ruolo strategico e una sostanziosa fetta di mercato. Certo è però che non può distrarsi più di tanto: il cambiamento c’è, è radicale e impatta sul modo di fare televisione, sulle regole della competizione, sulla grandezza del mercato. È in atto la rottura del modello tradizionale, laddove i ricavi non tornano più alla fonte: presto – si è detto – esisterà un problema di finanziamento delle reti televisive e una forte pressione sulla produzione di contenuti.

          La grande crescita del mercato digitale non ha portato con sé una conseguente revisione della normativa. In particolare quella italiana è stata giudicata inadeguata e in parte superata: non prevede, infatti, il fenomeno che ha cambiato il mercato, vale a dire la convergenza e la grande crescita dei new media. Non c’è ancora una disciplina antitrust che possa rispondere a criteri di mercati omogenei. È pur vero che la legge Gasparri prevedeva un sistema integrato della comunicazione, ma restano ancora molte lacune. Da molti è stata, quindi, ribadita l’urgenza di intervenire con riforme appropriate.

          In Italia l’industria audiovisiva vale 1% del PIL: l’80% dei contenuti viene ancora prodotto dai broadcaster tradizionali che però lamentano – in mancanza di una normativa adeguata – uno sfruttamento senza regole da parte della rete dei contenuti prodotti. Esiste, poi, tra Europa e Italia un grande problema competitivo: aziende italiane che sono soggette a forte regolamentazione si trovano a competere sui mercati internazionali con aziende di altri Paesi che non hanno dovuto adeguarsi a regolamentazione di tipo similare. Quello che manca – si è sottolineato – è una legislazione della convergenza che ponga tra gli altri il problema della spectrum review nonché fermi l’accesso gratuito alla rete da parte degli Over the Top che si traduce – a giudizio di alcuni – in un forte sbilanciamento competitivo.

          Se è vero che si parla tanto di frequenze televisive – da parte del Governo è stata confermata l’attuale sospensione del beauty contest – è anche vero che nel nuovo contesto non si potrà non considerare anche le frequenze delle telecomunicazioni. Decisione che attiene senza dubbio al campo della politica e che molti auspicano per una necessità di riequilibrare la normativa e il mercato.

          Si è anche molto discusso di regolazione del diritto d’autore sulla piattaforma e di copyright: un problema nato dall’idea originaria della gratuità della rete e che va risolto, comunque, a livello globale e non dalla normativa di un singolo Paese. Per affrontarlo serve un atteggiamento realistico e pragmatico: separare la fruizione privata – gli adolescenti che scaricano musica- dal business vero e proprio.

          Si è, infine, a lungo discusso del ruolo del servizio pubblico e della RAI. L’Europa assegna 25 miliardi di euro alle sue tv pubbliche, a testimonianza dell’importanza che attribuisce al loro ruolo. La RAI, che rimane il maggiore servizio pubblico d’Europa ha – secondo alcuni partecipanti – problemi di governance e di qualità del prodotto.  Sul canone le opinioni sono diverse: c’è chi ne vuole l’abolizione, mentre altri hanno sostenuto la bontà del sistema misto, fondato sul pagamento del canone e sulla pubblicità.  È importante – si è detto – ridefinire la “mission”della tv pubblica che potrebbe essere concepita secondo un modello in cui il canone vada a finanziare le reti di qualità – dove l’audience non sia poi così strategica – e la pubblicità vada invece a sostenere reti ad impronta maggiormente commerciale. Inoltre, c’è chi ha osservato che già secondo la vigente Legge Gasparri è possibile mettere sul mercato alcune reti RAI.

          Sul fronte governativo si è ribadito che il servizio pubblico va sostenuto, come peraltro prevede la giurisprudenza comunitaria, e che per il 30 giugno terminerà il programma di digitalizzazione. Nelle intenzioni del Governo spiccano anche l’accelerazione del processo di liberalizzazione delle frequenze telefoniche, l’agenda digitale e lo sviluppo della banda larga.