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Attività

Fisco, equità, crescita: elementi per una politica economica

    • Milano
    • 4 Giugno 2012

          Secondo il dettato costituzionale, la fiscalità, oltre a consentire l’erogazione di servizi e prestazioni indispensabili al benessere e al progresso dei cittadini, dovrebbe contribuire a superare le disuguaglianze sociali applicando criteri di giustizia distributiva. Questo principio di “equità” nella modulazione del prelievo fiscale assume un rilievo tanto più marcato quanto più si accrescono, come sta accadendo, i profili di disuguaglianza sociale ed economica. In Italia – come nella maggior parte dei paesi Ocse – la disuguaglianza nella distribuzione dei redditi è, infatti, aumentata significativamente nella prima metà degli anni Novanta, per poi stabilizzarsi nel decennio successivo con una tendenza all’ulteriore ampliamento a ridosso della crisi attuale.

          Fra le pieghe di una situazione economica difficile come l’attuale, si fa quindi ancora più forte e insistente la domanda di equità fiscale da parte dei contribuenti; non è solo rischiesta dai contribuenti l’applicazione del principio di progressività, ma anche una maggiore capacità da parte dello Stato di recuperare le ampie sacche di evasione ed elusione che si trasformano in una “tassa occulta” a discapito proprio dei contribuenti onesti.

          La lotta all’evasione deve poi, necessariamente, accompagnarsi alla diffusione della percezione che il carico tributario è allocato seguendo criteri di equità tanto sostanziali quanto procedurali. Perché è solo grazie a riscontri chiaramente percepibili di trattamento equo che si possono favorire e incoraggiare i comportamenti virtuosi e, in questo senso, i premi ai contribuenti più trasparenti o forme di redistribuzione delle risorse recuperate dalla lotta all’evasione sarebbero meccanismi importanti per diffondere e rafforzare ulteriormente la cultura della legalità anche sul piano fiscale.

          Naturalmente, ruolo non secondario nella percezione dell’equità da parte dei cittadini e delle imprese, è giocato dal livello qualitativo dei servizi erogati dallo Stato (e dagli enti locali) rispetto al carico tributario sostenuto. E, sotto questo profilo, l’Italia paga carenze e ritardi anche frutto della crescita della spesa pubblica, eccessiva e inefficiente, a discapito dell’economia privata.

          Il passaggio dal tema dell’equità della tassazione a quello della spesa pubblica evoca,  conseguentemente, anche quello della crescita. Non solo per il chiaro ruolo di stimolo che le politiche fiscali possono avere sulla domanda e sull’espansione dell’economia, ma anche per aspetti meno diretti, ma non meno rilevanti. Innanzitutto, l’elevata pressione fiscale riduce la competitività delle nostre imprese rispetto, ad altri paesi europei ed extra-europei, e riduce altresì l’appeal verso potenziali investitori stranieri (non solo e non tanto per il livello del prelievo, ma anche per l’incertezza e volatilità che caratterizzano le nostre politiche fiscali nazionali). In secondo luogo, in taluni settori e aree geografiche, l’evasione falsa sistematicamente la competizione penalizzando o addirittura spingendo fuori dal mercato le imprese più corrette sul piano tributario. Infine, l’evasione tende ad accompagnarsi, per definizione, a gravi illeciti quali la corruzione, il riciclaggio, e il lavoro nero. Tutti elementi con ricadute pervasive sulla quantità e qualità della crescita del nostro tessuto produttivo.

          Se la crisi economica ha reso ancora più evidenti i nessi tra fisco, equità e crescita, la sfida per lo Stato è di rimodulare coerentemente il sistema dei prelievi fiscali lungo le direttrici che, nello spirito di un concreto federalismo fiscale, possano portare a un diverso rapporto tra centro e periferia dello Stato, tra tassazione delle “persone” e delle “cose” (con riguardo, per esempio, alla tassazione ambientale), tra regimi d’imposta per gli individui e  per le famiglie, ma anche a una sostanziale semplificazione degli stessi sistemi impositivi.