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Attività

Da necessità a virtù: le privatizzazioni come fattore di crescita

    • Roma
    • 19 Marzo 2014

          Al tema delle privatizzazioni l’Italia periodicamente affida i fragili destini della sua finanza pubblica. Se sono proprio i vincoli sempre più stringenti di quest’ultima a rendere, di volta in volta, urgenti i programmi di dismissioni, va però precisato che privatizzare non può e non deve soltanto implicare fare cassa in modo rapido. Il tema, infatti, presenta diverse e variegate sfaccettature affrontate nel corso della tavola rotonda.

          Innanzitutto è necessario definire con chiarezza le motivazioni e gli scopi del privatizzare. Il processo va infatti inquadrato non solo nell’ottica di uno strumento necessario ad abbattere il debito pubblico, ma anche come opportunità per agire sul denominatore del rapporto debito/PIL, contribuendo a massimizzare il potenziale economico e industriale del paese.

          In secondo luogo, è necessario individuare gli asset da privatizzare. Tra questi rientrano le aziende a partecipazione pubblica, oggi più di 7.000, nonché gli immobili di proprietà dello stato e di enti locali. In entrambi questi ambiti, l’incrocio tra visione generale e prerogative locali rende la materia piuttosto complessa. Per capire cosa privatizzare, bisogna identificare quei settori in cui il passaggio dalla mano visibile dello stato a quella invisibile del mercato possa rappresentare un miglioramento in termini di efficienza e implicare un aumento del benessere generale. Il tutto, prescindendo dal manicheismo secondo cui l’efficienza può essere solo privata, e tenendo in conto le motivazioni della politica industriale e della sicurezza nazionale per settori e imprese considerati strategici.

          In terzo luogo è fondamentale capire come privatizzare, secondo quali schemi e regole. Qui entrano innanzitutto in gioco i vincoli a livello europeo in termini  di rispetto di target macro-fiscali, di norme su aiuti di stato, di legislazione anti-trust e di libera circolazione dei capitali nel mercato interno. Vi è poi il tema cruciale di fare seguire alle privatizzazioni un aumento della concorrenza nel settore. Questo risultato si raggiunge solo laddove al processo di dismissione si accompagni un contemporaneo processo di liberalizzazione. Altrimenti si rischia di trasferire privilegi e inefficienze dalla mano pubblica a quella privata. Per ottenere poi effetti benefici in termini di maggiore efficienza e disciplina nel passaggio da un azionista pubblico a uno privato, vanno riviste e ridefinite in modo chiaro le regole della governance. Un processo di privatizzazione non può infatti avere successo, se non si predispone una governance coerente con un nuovo assetto proprietario e con un nuovo set di incentivi.  È fondamentale poi  che l’intero processo si svolga in modo trasparente, le regole siano chiare e non soggette a continui cambiamenti che minano la certezza del diritto. Al fine di massimizzare i profitti delle dismissioni è necessario seguire criteri di asset management e utilizzare strumenti modulati e adeguati alle esigenze nonché monitorare e valutare con tempestività la situazione del mercato. Infine devono essere ponderati i costi dell’intero processo che, nel breve periodo, potrebbero essere elevati, soprattutto in termini di perdita di posti di lavoro, e che potrebbero fare perdere di vista i benefici di più lungo termine.

          L’attività dei governi italiani negli ultimi venti anni non sempre ha sortito gli effetti sperati. Le lobby interne ed esterne hanno spesso determinato resistenze e risultati non ottimali. Affinché il processo di privatizzazione porti agli esiti auspicati, è necessario iscriverlo nell’ambito di un più ampio disegno di rilancio dell’economia a livello di sistema-paese che segua le direttrici di una cabina di regia nazionale, che si basi su scelte coerenti di politica economica e che punti all’obiettivo primario di fare tornare a crescere il paese.