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Attività

Quanto valgono i big data? Opportunità per le imprese, le organizzazioni, la società

    • Milano
    • 3 Novembre 2014

          320 volte l’eredità culturale custodita nella leggendaria Biblioteca di Alessandria d’Egitto. Una mole di dati che, se archiviata su Dvd impilati l’uno sull’altro, coprirebbe la distanza tra la Terra e la Luna: cinque volte, andata e ritorno. È il patrimonio di conoscenza appannaggio dell’uomo contemporaneo. È, uscendo dalle metafore suggestive, la straordinaria quantità di informazioni comunemente nota come big data. Frutto della impetuosa accelerazione della rivoluzione tecnologica degli ultimi decenni e al contempo, ormai, motore essi stessi di trasformazioni epocali (ancorché in parte incerte), quest’ultimi non costituiscono più un tema per soli addetti ai lavori, ma dominano a pieno titolo il dibattito globale. Ci si confronta sulle declinazioni futuribili, si tenta di quantificare il valore economico potenziale determinato da una loro gestione razionale, sia da parte delle imprese sia all’interno delle pubbliche amministrazioni, si tracciano profili di criticità, specie per ciò che attiene alla tutela dei diritti, dalla protezione dei dati personali al riconoscimento della proprietà intellettuale.

          Di questo dibattito internazionale la trasposizione italiana pare essere ancora suscettibile di approssimazioni, talvolta focalizzate più sulle presunte minacce che sulle reali opportunità e sui vantaggi competitivi che potrebbero essere ingenerati da un utilizzo strategico del Big Data Analytics Process da parte del sistema Paese nel suo complesso. Eppure, al di là dei pregiudizi domestici, non v’è dubbio che, inquadrata la questione per quello che oggettivamente è – vale a dire un percorso già ampiamente in corso e inarrestabile, ormai “evolution” ben più che “revolution” –, la prospettiva di analisi si allarga al punto da interessare, a 360 gradi, lo stesso paradigma di sviluppo del mondo avanzato, la relazione delicata tra conoscenza e democrazia rappresentativa, i cardini del modello di capitalismo creatosi negli ultimi due secoli. Così, ai tradizionali fattori produttivi, lavoro e capitale, sembra aggiungersene un altro, ancora sfumato della sua dimensione definitoria, ma certo altrettanto complesso nelle implicazioni concrete.

          È in quest’ottica più generale che la materia, lungi dal riguardare esclusivamente i modelli di business e la governance delle imprese, entra nel novero del decision making a tutto tondo e concorre a superare la tradizionale antinomia tra cittadino e cliente, imperniandosi invece sulla figura di più recente concettualizzazione del “cittadino-digitale-consumatore”, oggetto di analisi e al tempo stesso fruitore di un flusso di dati e saperi che certamente non ha precedenti nella storia dell’umanità. A ben vedere c’è, in questa evoluzione, un ritorno, solo apparentemente paradossale, alla centralità della “persona”. Nell’astrattezza estrema dell’algoritmo e nell’eccellenza di processi affidati alle più sofisticate tecnologie (tanto da sconfinare anche nell’ambito dell’intelligenza artificiale), è infatti l’individuo che ordina e classifica i dati. Per farlo ha bisogno di un competenze specialistiche e all’avanguardia. È l’individuo che ha la possibilità unica di trasformare i big data in smart data. Per farlo ha, a seconda del proprio ruolo, bisogno degli strumenti adatti per ottimizzare le prestazioni della sua azienda, migliorare l’efficienza della sua amministrazione, incrementare la qualità del suo stile di vita.  È ancora l’individuo, infine, che misura l’efficacia del cambiamento in termini di decisioni di acquisto, di valutazione dei servizi, di orientamenti politici ed elettorali.  Per farlo – cioè, per scegliere – ha bisogno del massimo livello di trasparenza e di condivisione della conoscenza. 

          Resta da comprendere quanto, non solo in Italia, le leadership, intese in senso lato come classi dirigenti, siano in grado di recepire e guidare la portata di questo cambiamento. Ciò vale sia per ciò che concerne gli investimenti in infrastrutture digitali capaci di reggere l’onda d’urto dell’innovazione, sia per quanto riguarda la disciplina di fenomeni inediti, al cui passo legislatore e amministratore  spesso faticano ad adattarsi. Sullo sfondo, evidentemente, si pone un problema di regolamentazione: all’interno delle legislazioni degli Stati e a livello sovranazionale (Unione europea) e mondiale. Al centro delle riflessioni non solo la tutela dei diritti individuali, a partire da quello alla privacy, ma anche il complesso filo che, proprio attraverso la Rete, tiene insieme innovazione, competitività, responsabilità sociale, reputazione.

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