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Attività

Mercati e politiche energetiche/ambientali: quali scelte per la crescita e competitività dell’industria italiana?

    • Lecce
    • 23 Ottobre 2009

          I mercati energetici internazionali sono la cartina di tornasole di una crisi dagli esiti ancora incerti. Il drastico crollo della domanda globale ha determinato un forte abbassamento dei prezzi, ma le logiche speculative e le preoccupazioni infondate sull’avvicinarsi del peak oil sostengono ancora artificialmente le quotazioni al di là di ogni fondata indicazione di mercato. È ancora troppo presto per prevedere con certezza la traiettoria d’uscita: una ripresa a “V”, come auspicato da chi intravede elementi di speranza, la previsione decisamente più preoccupante di una double dip recession (scenario “W”), o un quadro funesto di stagnazione a medio-lungo termine (scenario “L”)? 

          La salute del settore energetico italiano desta senza dubbio forti preoccupazioni, registrando un calo delle attività di circa il doppio rispetto alla media nazionale. In sostanza, l’orologio della crisi porta i dati indietro di un decennio. Si allontanano quindi le prospettive di crescita, a fronte di una mole di investimenti infrastrutturali che rimarranno inutilizzati e i cui costi graveranno pesantemente sulle bollette dei consumatori. Di qui l’esigenza di formulare un “quadro programmatico” che immetta una dose di stabilità:si tratta di puntare al superamento della logica del “piano nazionale”, in cui il raggiungimento degli obiettivi prefissati è legato all’adempimento di una serie di obblighi imposti dallo Stato agli operatori di mercato. Per il futuro bisognerà mettere in atto una “strategia energetica nazionale”, elaborando nuovi meccanismi economici che permettano agli operatori di raggiungere gli obiettivi.

          Un ulteriore fattore di ammodernamento del “quadro programmatico” dovrà essere quello di condurre il Paese verso scelte politiche più consapevoli in materia d’energia. Tra le priorità principali vi è quella di aggiornare il quadro normativo delle autorizzazioni, oggi fonte di confusione, frammentazione e lentezza nella realizzazione di opere energetiche per il Paese. Le forti differenze regolatorie tra regioni alimentano un sistema troppo farraginoso, spesso territorio di operazioni speculative, e a breve sotto procedura d’infrazione per inadempienza nell’attuare in maniera soddisfacente le norme comunitarie in materia d’impatto ambientale. Occorre un intervento che indirizzi il sistema verso una maggiore armonizzazione degli iter regionali, che fornisca una “corsia veloce” agli operatori che puntano sullo sviluppo delle strutture e non alla rivendita delle autorizzazioni, e che instauri un meccanismo di valutazione e incentivazione che valorizzi le best practices.

          In aggiunta, la crisi ha avuto delle pesanti ricadute sull’eco-compatibilità del mercato energetico italiano. Basti pensare che nel 2009, gli investimenti nel settore della clean energy si sono dimezzati. Occorre una riflessione a tutto campo sulle modalità di intervento pubblico a sostegno dello sviluppo delle fonti rinnovabili e dell’efficientamento energetico in relazione agli obiettivi 20-20-20 definiti nel “Pacchetto clima” europeo. Il sistema di incentivi a sostegno dello sviluppo delle fonti rinnovabili in Italia è tra i più generosi ma inefficienti d’Europa. Sono le distorsioni del nostro arcipelago regolatorio a scoraggiare le pur altissime potenzialità imprenditoriali del nostro paese nell’ambito della green economy. Inoltre, lo sbilanciamento degli incentivi a vantaggio della produzione da fonti che rendono ancora molto poco rispetto al fabbisogno (eolico e fotovoltaico in primis)  non tiene conto dell’ enorme potenziale degli investimenti nella ricerca e nell’innovazione. Anche se in linea con la media europea, gli investimenti pubblici nella ricerca energetica in Italia sono spesso indirizzati male. Occorre puntare su quella vasta gamma di tecnologie che, seppur ancora in fase embrionale, dimostrano già di avere un alto potenziale: il micro-eolico, le biomasse di seconda generazione, il geotermico, la termovalorizzazione di combustibile selezionato sono soltanto alcune delle strade percorribili. Occorre inoltre abbattere la convinzione secondo cui, “essendoci poco vento in Italia, non varrebbe la pena investire nell’eolico”. Gli incentivi devono soprattutto servire a sostenere lo sviluppo di una solida base industriale e di know-how italiani nel settore. Infine, andrebbe rivisitato il sistema di finanziamento degli incentivi, il quale grava interamente sulla bolletta, dando luogo a forti iniquità; andrebbe valutata la sostenibilità di un trasferimento di questi oneri sulla fiscalità generale al fine di renderli più progressivi.

          Infine vi è la questione del trade-off tra sviluppo delle fonti rinnovabili e sforzi nell’ambito dell’efficientamento energetico in relazione agli obiettivi 20-20-20. Quale strada dovrebbe privilegiare l’Italia per raggiungere l’agognato 17% di rinnovabili sul fabbisogno totale? Da una parte, è evidente che una singola unità di sforzo sul numeratore (fonti rinnovabili) equivale a cinque unità sul denominatore (consumo totale). Dall’altra, il 36% dell’attuale potenziale di riduzione delle emissioni CO2 è nell’energy efficiency: non a caso, nel piano di stimolo del Presidente Obama, su 58 miliardi di dollari di investimenti nel settore energetico, oltre il 50% dei fondi sono destinati a questo scopo. L’Italia può vantare delle eccellenze specifiche nel settore: bisogna investire e costruire sulla base di realtà come quella di Bolzano.  Un’ottima ricetta anche per cambiare linea rispetto alla reticenza spesso esibita in materia d’ambiente nei consessi internazionali.

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