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Attività

L’Europa dopo l’Europa. Come produrre e distribuire valore. Come riemergere dalla crisi

    • Roma
    • 9 Novembre 2012

          “L’Europa non cade dal cielo”, affermava Altiero Spinelli: deve essere costruita dal basso, con l’impegno di tutti. In questa prospettiva gli Aspen Junior Fellows hanno sviluppato una riflessione sulle nuove sfide che condizionano coesione e futuro dell’Unione. Da un lato la conferenza si è posta l’interrogativo di quali nuovi modelli possano garantire benessere e occupazione a tutti gli europei, limitando i crescenti squilibri intergenerazionali. Dall’altro ha inteso promuovere una riflessione sul limite di democrazia generato dalla crescente riduzione di sovranità degli stati nazionali.  

          Il tema dell’incontro è stato affrontato attraverso un dibattito declinato in tre aree tematiche: proposte e risorse per l’Europa del futuro; sviluppo economico, in particolare industriale, per un benessere condiviso; ruolo dell’Italia nella nuova governance europea, e con quali costi e benefici.  

          Ci si è quindi confrontati sul recente percorso che dalla crisi greca è degenerato in crisi dell’euro. Come riuscire a  mantenere l’attuale coesione politica e integrazione economica coniugando austerità e crescita? I vincoli di bilancio nazionali impediscono ai singoli governi di adottare politiche espansive, e le stesse riforme hanno negativi effetti prociclici. Per questo è importante che ci si doti a livello europeo degli strumenti di riequilibrio non disponibili a livello nazionale, di una fiscal capacity sovranazionale che sia in grado di assorbire gli shock asimmetrici. Si arriverà probabilmente ad un’Europa multispeed, con geometrie variabili di difficile gestione, specie dal lato del mercato interno. Una prospettiva lontana dal modello federale evocato dai padri fondatori. I confini della costruzione europea sono ancora ibridi: in parte organizzazione internazionale e in parte organizzazione costituzionale. Uscire da questa architettura e giungere ad un Europa federale è una scelta fondamentale che richiede una modifica degli ordinamenti nazionali: la devono esprimere i cittadini, non i governi nell’isolamento di una conferenza intergovernativa. La riflessione è stata arricchita dal confronto fra la difesa di un’Europa liberale, che premia l’impegno dei migliori, ed un’Europa solidale, che non lascia indietro i paesi in difficoltà. Si è sottolineato l’auspicio del mantenimento dell’attuale coesione: i singoli   paesi membri – inclusa la Germania – considerati individualmente diventano marginali nella competizione globale. Non è solo una questione economica, ma anche di affermazione di valori come diritti umani e tutela ambientale: si possono promuovere a livello mondiale solo con un peso di scala europea.

          Al centro del dibattito anche l’economia. Specifica rilevanza è stata dedicata alla “reindustrializzazione” dell’Europa, anche con riferimento alla Comunicazione della Commissione del 10 ottobre che intende promuovere una crescita del PIL industriale europeo dal 15,6% attuale al 20% entro il 2020. Dal settore manifatturiero dipendono il 75% dell’export e l’80% dell’innovazione dell’Unione. Si tratta di una sfida centrale per l’Italia, che rimane – nonostante la crisi – il secondo paese manifatturiero d’Europa per valore prodotto, occupazione ed export industriale. Italia, Germania e Francia (oltre ad alcuni paesi dell’Est, come la Polonia) permettono all’Europa di competere con i grandi blocchi emergenti. Occorre dunque rafforzare e indirizzare il growth compact europeo, quel “Patto per la crescita e l’occupazione” promosso dalla Commissione lo scorso mese di giugno per controbilanciare gli effetti recessivi del fiscal compact. Specifica rilevanza assumono le iniziative di finanziamento di reti e progetti infrastrutturali trans-europei e gli strumenti, come i project bond, che possano promuovere tali investimenti.  

          Si è anche sottolineata la necessità di non ridurre la governance europea ad un duopolio e di riaffermare il valore del contributo italiano alla sua evoluzione. È stata riletta, senza retorica, l’eredità dei grandi protagonisti italiani della costruzione europea per affermare la necessità di una più estesa promozione di tale spirito che potrà avvenire anche  attraverso una maggiore comunicazione delle attuali implicazioni di questo percorso. L’Italia, pur essendo un paese fondatore, fondamentale anche nel ricomporre i dissidi franco-tedeschi, deve superare l’asimmetria fra consensi quasi plebiscitari all’idea di Europa che risultano poi contraddetti nei comportamenti. La crisi ha inoltre accelerato la necessità di fornire risposta alla cessione di sovranità dagli Stati nazionali: occorre che i cittadini siano convinti che tale cessione di sovranità non significa riduzione delle loro garanzie. Serve una legittimazione democratica più forte alla leadership europea, ad esempio un’elezione diretta del Presidente della Commissione e maggiore potere di iniziativa legislativa del Parlamento Europeo. La sfida dell’Europa non è tecnica, ma politica.

          Come affermava  Jean Monnet  “l’Europa non coalizza Stati, ma unisce uomini”: su questo principio è stato raggiunto l’obiettivo dei padri fondatori di una pace duratura e dell’integrazione commerciale. Pur nella difficoltà di cogliere altri e nuovi obiettivi, il dibattito della conferenza ha confermato come l’Europa sia un ideale che deve vivere di un confronto aperto e pragmatico. Scriveva Thomas Mann che “l’Europa è la terra della ribellione, della critica e dell’attività riformatrice”, ma la sfida rimane quella di sempre: produrre valore sociale ed economico.