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Attività

Le risorse umane per lo sviluppo competitivo dell’Italia: mobilità, occupabilità, reticolarità

    • Venezia
    • 26 Ottobre 2012

          Che quello umano, oggi, si configuri a tutti gli effetti come un capitale da iscrivere simbolicamente a bilancio del sistema-Paese non ci sono dubbi. Che questo stesso capitale per decenni sia stato in Italia poco valorizzato, sottoutilizzato, financo dissipato, è opinione altresì prevalente. Lo testimoniano le analisi comparate sempre più allarmanti, che fotografano una società bloccata in termini di mobilità sociale e indiscutibilmente indietro rispetto alla media dei propri competitor, europei e internazionali. Lo confermano i numeri che, da anni, descrivono la parabola di un Paese dalla crescita asfittica, dalle disuguaglianze in aumento, dalla produttività al palo, dalle dinamiche occupazionali al ribasso. Cresce la percentuale dei giovani estromessi o mai entrati nel mercato del lavoro, sale il numero di quanti non completano il proprio percorso di studi, si aggrava l’emorragia dei talenti che decidono ogni anno di tentare un’opportunità di realizzazione, umana e professionale, all’estero.

          A osservarlo unicamente con le lenti oggettive della statistica, il tema delle risorse umane per lo sviluppo competitivo dell’Italia finisce col riflettere – esaltandone le tinte più fosche – le tante sfumature del rischio-declino che incombe sul Paese. Un rischio evidentemente esacerbato dagli effetti della grande crisi globale, ma che affonda le sue radici in alcune criticità cronicizzate dell’incompiuta modernizzazione italiana. Pesano l’impatto di un dualismo mai realmente aggredito tra Nord e Sud della Penisola, gli effetti della faticosa o mancata interazione tra il sistema della formazione (a tutti i livelli) e il mondo delle imprese, l’assenza di una più complessiva strategia di rilancio nazionale. Come filo conduttore la difficoltà di costruire, o consolidare, un capitale sociale davvero in grado di ergersi a elemento di raccordo virtuoso tra le istituzioni e l’economia.

          Da questa angolatura, i tre termini-concetto di mobilità, occupabilità e reticolarità potrebbero  costituire una sintesi del dilemma dello sviluppo dell’Italia contemporanea. Lo specchio di una società frammentata e vulnerabile, che fatica a farsi coesa e competitiva e retta più da vincoli familistici o da relazioni informali che da un reale e condiviso spirito di comunità. Gli indicatori negativi di un sistema con l’ascensore sociale fermo, nel quale ai giovani non vengono garantite occasioni e speranze all’altezza di quelle di cui hanno potuto beneficiare le generazioni che li hanno preceduti.

          Eppure, sullo sfondo di una trasformazione epocale quale quella in atto (geopolitica, demografica, tecnologica) e nel pieno di una fase recessiva con pochi precedenti nella storia economica recente, proprio la crisi può, anche in questo ambito, costituire l’opportunità per cambiare in corsa un sistema che evidentemente non funziona più come dovrebbe. Anzitutto sul versante culturale e di approccio politico alla questione. Ferma restando, infatti, la presa d’atto delle responsabilità innegabili della classe dirigente nel suo complesso, è proprio dalla crisi che è possibile trarre lezione per capitalizzare al meglio il patrimonio del Paese, pur in condizioni di compressione delle risorse disponibili e di restrizione dello spazio dell’intervento pubblico. Una lezione per considerare l’investimento sulle persone un investimento sulla comunità e sul suo futuro, che va valorizzato e messo a sistema, e non ulteriormente dissipato. Per passare dalle mere dichiarazioni di principio sulla cultura del merito a un mutamento fattivo di paradigma, che sposti finalmente l’attenzione dal controllo delle procedure alla valutazione dei risultati. Per importare sistematicamente le buone pratiche e farne un punto di riferimento in termini di innovazione, selettività delle scelte, attrazione di capitale umano qualificato, aderenza delle politiche per la formazione alle reali esigenze del sistema produttivo nazionale.

          In definitiva, si tratta ancora una volta di trasformare il vincolo in opportunità e, dunque, di fare degli stessi tre termini-concetto – mobilità, occupabilità, reticolarità – le chiavi di volta per provare a sbloccare il Paese, consentendogli di ritrovare la via, apparentemente perduta, dello sviluppo e della competitività.