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Attività

Le fondazioni in Italia: dalla legge all’atto negoziale

    • Milano
    • 23 Marzo 2015

          Le fondazioni di origine bancaria sono soggetti complessi, portatori di una doppia anima: investitori e protagonisti nel mondo finanziario, ma anche attori fondamentali del privato sociale, parte importante di una democrazia partecipativa come quella italiana chiamata non solo a generare beni economici, ma anche valori.

          A venticinque anni dalla loro creazione con la legge Amato (e a più di quindici dalla legge Ciampi che le ha normate nel 1998) per le fondazioni restano, tuttavia, alcune sfide aperte. Le principali riguardano l’autonomia e l’indipendenza necessarie per il perseguimento degli scopi di utilità sociale e promozione delle sviluppo economico; il rafforzamento del ruolo di soggetti attivi nelle politiche sociali, culturali e dell’istruzione; la ricerca di nuovi modelli organizzativi e gestionali dopo una crisi finanziaria che ha inciso negativamente sulle banche e sui loro principali azionisti.

          Il recente protocollo di intesa fra il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Associazione di Fondazioni e Casse di Risparmio (ACRI) è un passo necessario di fronte al rischio che la storia di successo delle fondazioni possa entrare in crisi. Diversi ostacoli, del resto, hanno minato l’attività delle fondazioni di origine bancaria, rendendone difficile la crescita e il consolidamento: fra questi vi sono sicuramente i problemi di operatività e le situazioni di scarsa trasparenza in cui si sono trovati alcuni enti.

          Eppure, nonostante il protocollo sia un atto di grande importanza, si tratta di un documento che integra e incentiva il lavoro già fatto in questi anni, grazie a un processo di autoriforma culminato nella Carta delle Fondazioni del 2012. L’intesa fra l’ACRI e il Ministero va, infatti, in questa direzione, rafforzando lo spirito originario delle leggi Amato e Ciampi, puntualizzandone i principi e riaffermando la necessità di una equilibrata gestione patrimoniale (con l’introduzione, ad esempio, di un tetto massimo pari a un terzo del patrimonio investibile in una singola asset class) che permetta a questi attori di espletare al meglio la propria missione sociale.

          Nel definire il futuro delle fondazioni non si può, tuttavia, prescindere dai mutamenti del mondo bancario: la nuova regolamentazione europea, in particolare, modifica il profilo di rischio e di rendimento delle banche, aumentando la necessità di azionisti sempre più pazienti e di lungo periodo. Le fondazioni, così, si troveranno presto di fronte a un bivio: rafforzare la propria vocazione di investitori istituzionali o diventare impact investor slegati dalle banche di origine e finalizzati a reperire risorse per la propria missione sociale.

          In ogni caso il protocollo fra fondazioni e Ministero sembra aprire una nuova strada all’autonomia di questi attori del liberalismo sociale, accelerando anche la possibile – e forse auspicabile – differenziazione dei loro ruoli nell’azionariato delle banche. Un cammino che va percorso senza, però, dimenticare il presidio a garanzia del pluralismo del privato sociale che le fondazioni incarnano. Si tratta di ruolo particolarmente importante vista la necessità che l’Italia ha di far crescere corpi intermedi capaci di dare più compiuta attuazione al principio di sussidiarietà.

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