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Attività

La dinamica demografica in Italia: problemi e opportunità

    • Milano
    • 15 Novembre 2010

          L’invecchiamento della popolazione, l’immigrazione e la fuga dei cervelli sono questioni da affrontare guardando sia al futuro sia al passato. Il quadro attuale è, infatti, frutto di dinamiche  precedenti: negli scorsi decenni si rilevava un saldo delle nascite positivo e un saldo migratorio negativo, mentre oggi la situazione è ribaltata. Interrogarsi su come eravamo, oltre che su come saremo, è quindi un metodo utile per delineare le politiche necessarie a fronteggiare il cambiamento demografico, peraltro molto diverso da quello previsto dalla stessa Onu non meno di dieci anni fa.

          La gestione dei flussi migratori non può, da sola, fornire la chiave per invertire i processi in corso. Il contributo dell’immigrazione è estremamente importante, anche in termini di offerta di forza lavoro, ma ci vorrebbero 690mila arrivi l’anno per invertire le tendenze in atto. Ciò è difficilmente sostenibile, anche considerando che il fenomeno migratorio è in globale ridimensionamento. Cruciali invece possono essere gli interventi per favorire la crescita del tasso di natalità (fermo all’1,4% e più basso rispetto a quello di altri Paesi ), per la revisione delle politiche assistenziali e sanitarie e per incoraggiare la permanenza in Italia dei giovani tra i 25 e i 30 anni. Le statistiche rilevano, infatti, un saldo negativo tra gli italiani appartenenti a questa fascia d’età che si trasferiscono all’estero e i giovani immigrati in arrivo in Italia.

          In assenza di politiche mirate, in futuro si dovranno fronteggiare tre questioni: la prima riguarda la natalità e la fecondità. È dal 1977 che il Paese è al di sotto del ricambio generazionale (ovvero ogni donna partorisce meno di due figli) e gli immigrati non riescono a dare un contributo decisivo all’inversione del trend, perché hanno un tasso di natalità sempre più simile al nostro e perché, come testimonia il cospicuo flusso delle rimesse, coltivano il desiderio di tornare nelle terre d’origine. Oggi circa 80mila nati provengono dall’immigrazione, ma in quattro anni il tasso di fecondità delle donne straniere è sceso a livello delle italiane. A più alti tassi di occupazione femminile corrisponde, nelle economie avanzate, un più alto tasso di natalità ed è quindi a favore dell’ingresso delle donne nel mercato del lavoro che bisogna intervenire, soprattutto adottando strumenti a sostegno delle pmi.

          La seconda questione riguarda la valorizzazione del capitale umano: i giovani non sono in grado di uscire dal contesto famigliare (e ciò impedisce la piena assunzione delle responsabilità) oppure lasciano il paese. La terza questione, infine, concerne l’invecchiamento demografico: è in atto il sorpasso tra bisnonni e pronipoti e oltre all’aumento degli ultra-65enni, è in corso anche quello degli ultra-80enni. È proprio il progressivo allargamento delle fasce di popolazione anziana a mettere sul tavolo alcune delle sfide più complesse. Il sistema pensionistico risulta sostenibile grazie alle recenti riforme intraprese, ma permane la necessità di compenetrare la torre fiscale con quella previdenziale.

          Il sistema sanitario e dell’assistenza alla persona richiedono particolare attenzione, e riflessioni sono necessarie anche sulla propensione al risparmio delle classi di popolazione più anziane. La crescita del fenomeno delle famiglie mononucleari, in particolare tra gli anziani, comporta maggiore fragilità e il venir meno della rete parentale di assistenza. C’è inoltre da considerare il peso delle fasce di popolazione ultra-65enni e ultra-80enni sull’elettorato attivo e le relative conseguenze sulle politiche in grado di creare consenso sociale.

          Secondo uno studio condotto da Standard&Poor’s sul global aging diffuso a ottobre, il debito pubblico delle economie avanzate è destinato a esplodere nei prossimi 40 anni. Gli scenari prevedono, in assenza di misure di contenimento, che il rapporto deficit/pil giungerà a quota 400% per paesi come Francia e Germania, mentre l’Italia, oggi al 115%, non dovrebbe superare il 245%. Il vantaggio di cui il paese gode, quindi, deve essere la base per incoraggiare ulteriori progressi nel sistema pensionistico, in quello del risparmio e nelle policy della salute. Gli ultra-65enni hanno e avranno due o più malattie croniche, per le quali l’ospedalizzazione non è la cura migliore. È quindi nell’ottica di ridurre l’ospedalizzazione e incentivare una cura incentrata sull’individuo che la struttura della sanità sta cambiando verso il modello del grande ospedale. La tecnologia dovrà anche essere lo strumento per garantire una migliore partecipazione delle fasce anziane alla produttività, un ingrediente indispensabile, insieme al risparmio, per il perseguimento di una costante crescita economica. Per invertire, o quanto meno ridurre il fenomeno dell’erosione del risparmio collegata all’invecchiamento, infine, bisogna pensare a politiche per favorire il ricorso a fondi sanitari (e pensionistici, nel caso dei giovani) integrativi.

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