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Attività

Italy, the US and Europe: facing inevitable change in a smart way

    • Washington,DC
    • 8 Luglio 2019

          In un quadro globale pieno di incertezze e caratterizzato da alcuni veri cambiamenti sistemici, il rapporto transatlantico conserva basi solide in termini strutturali ma è indubbiamente sottoposto a tensioni crescenti. Sia gli Stati Uniti che l’Unione Europea sono attraversati da forti spinte politico-sociali che mettono in discussione la fiducia nelle istituzioni e perfino lo stesso modello occidentale, anche se mancano ad oggi chiare alternative, e i partiti tradizionali europei hanno retto nel recente voto parlamentare l’urto dei movimenti ansi-establishment ed euroscettici.

          Quanto agli Stati Uniti, la prospettiva di un secondo mandato per Donald Trump è valutata dalla maggioranza degli esperti al di sopra del 50% in questo momento, anche perché il dibattito interno al Partito Democratico, come riflesso dalle primarie in corso, sta andando nella direzione che Trump sembra preferire – con impegni ambiziosi sul piano finanziario e obiettivi controversi sul piano delle politiche sociali. L’andamento complessivamente positivo dell’economia favorisce il Presidente in carica, nonostante il fatto che la lunga fase di crescita in atto sia debole in termini storici, con uno scarso livello di investimenti e benefici non sempre distribuiti a tutte le categorie sociali. I motivi di preoccupazione riguardo alla sostenbilità di questo tipo di crescita, accelerata dal sostegno monetario della Federal Reserve (che pure riceve comunque critiche dall’amministrazione per un presunto eccesso di prudenza), non sembrano influire direttamente sulle prospettive elettorali in vista del novembre 2020. D’altro canto, sembrano essere sfumate le possibilità di un forte impegno governativo per un programma infrastrutturale, che richiederebbe una stretta collaborazione tra i due partiti e la Casa Bianca.

          Gli sviluppi recenti del settore energetico americano ci ricordano che politica estera l’ascesa degli USA come potenza energetica conferma che il dinamismo economico – trainato a sua volta da innovazioni tecnologiche e investimenti privati – è il principale fattore di potenza che può essere utilizzato per influenzare gli equilibri mondiali. E fattori come questo prescindono in larga parte dallo stile di un’amministrazione e dalla personalità del Presidente Trump. La sostanziale indipendenza energetica americana di inserisce in un contesto più ampio di spostamento progressivo della politica estera di Washington dall’asse atlantico a quello indo-pacifico: un fenomeno avviato dall’amministrazione Obama e dunque destinato a proseguire anche in un contesto post-Trump. Ciò naturalmente altera l’importanza relativa delle tradizionali alleanze, e dello stesso sistema multilaterale che conosciamo – incentrato sostanzialmente proprio su quelle alleanze.

          L’evoluzione dei rapporti con la Cina sarà chiaramente centrale per i futuri assetti globali: esiste ormai un largo consenso bipartisan sull’esigenza di contenere direttamente le ambizioni di Pechino – sebbene i metodi adottati da Trump non trovino un sostegno altrettanto ampio tra i Democratici e anche tra molti conservatori.

          Guardando all’Europa, il voto parlamentare di fine giugno ha visto una buona tenuta dei partiti tradizionali  ma si è confermata una situazione di forte eterogeneità, con fratture geografiche lungo gli assi Nord-Sud ed Est-Ovest. Ne esce anche consolidata la marcata dimensione intergovernativa nel funzionamento dell’Unione, a cominciare dai metodi di selezione delle figure-chiave nella nuova Commissione e negli altri organi comuni.

          Sebbene in alcuni settori (a cominciare dal commercio) l’Europa possa realmente esercitare una leadership su scala globale, lo scontro in atto tra USA e Cina rischia di ridurre lo spazio per un’azione europea autonoma, visto che Washington e Pechino stanno indebolendo l’intero sistema mondiale regolato su cui la UE fa affidamento – essendo nel suo insieme più dipendente dal resto del mondo rispetto ad alcuni anni fa e rispetto agli Stati Uniti. L’uso frequente delle armi commerciali e delle sanzioni economiche pone una seria sfida agli alleati americani, visto che così aumentano sia il grado di imprevedibilità sia gli intrecci tra interessi economici e obiettivi politici e di sicurezza.

          In ogni caso, la performance economica è un ingrediente fondamentale della stabilità politico-sociale, e questo pone un problema specifico per l’intera costruzione europea, visto che ulteriori passi verso l’integrazione richiedono di fatto migliori prospettive economiche: si presenta dunque una sorta di circolo vizioso nell’attuale fase politica, caratterizzata da grande attenzione all’esigenza di una migliore distribuzione dei redditi.

          Stanno emergendo comunque temi di comune interesse sulle due sponde dell’Atlantico che saranno centrali nei prossimi anni e potranno dunque ridefinire lo stesso rapporto euro-americano: in particolare l’Intelligenza Artificiale e la gestione dei Big Data, che avranno implicazioni economiche e di sicurezza, come anche sociali e perfino antropologiche. Dalla difesa alla finanza, passando certamente per l’informazione e le relazioni tra governi e cittadini, questi avanzamenti tecnologici richiedono un grande sforzo di regolamentazione per il quale sarà importante definire standard comuni a tutela della concorrenza e dei diritti fondamentali. E’ un vasto campo di azione nel quale interessi e valori si intrecciano e proprio per questo la cooperazione transatlantica va rilanciata e coltivata.

          Altro tema decisivo per il futuro dei rapporti euro-americani è quelle delle tensioni commerciali internazionali, che mettono a rischio soprattutto la gestione regolata degli scambi di tipo multilaterale, oltre a minacciare le attuali catene del valore rispetto al ruolo cinese in alcune tecnologie-chiave (lo scneario estremo di un “decoupling”). Una critica assai diffusa alla strategia dell’amministrazione Trump, in particolare l’offensiva dei dazi, si focalizza sull’intreccio di obiettivi strettamente commerciali (con una delicata definizione consensuale del “fair trade” almeno in chiave bilaterale) ed equilibri strategici (per i quali certamente sarebbe opportuno un coinvolgimento diretto degli alleati occidentali). Gli europei inoltre considerano tuttora le relazioni con la Cina come una grande opportunità, tale da sovrastare i potenziali rischi di una profonda interdipendenza anche nei settori più sensibili – sebbene vi sia una crescente consapevolezza nel vecchio continente sui pericoli posti da alcune tattiche usate sistematicamente dagli operatori cinesi.

          Particolare attenzione è stata dedicata alla transizione energetica verso fonti a minore impatto ambientale, che è già in atto pur tra varie difficoltà e incertezze, e che avrà vaste conseguenze sui modelli globali di crescita e sviluppo oltre che sugli equilibri geopolitici. I tempi di una piena transizione verso un’economia “carbon free” dipendono da molte variabili, con un mix energetico in parte da definire; ma la strada sembra tracciata e le tecnologie fondamentali sono già disponibili.

          Il gas naturale giocherà un ruolo cruciale in questo passaggio: in tale contesto le esportazioni di gas dagli Stati Uniti verso i paesi europei possono accrescere la diversificazione delle fonti per l‘Europa – un processo peraltro già avviato anche grazie al Southern Corridor e allo sfruttamento delle risorse offshore di EastMed, pur con l’esigenza di ulteriori investimenti nei prossimi anni. Ridurre la dipendenza da singoli fornitori è un contributo decisivo alla sicurezza energetica e dunque a fondamentali interessi transatlantici condivisi.

          Il differenziale di prezzo tra gas americano e russo, con un vantaggio competitivo russo, sarà probabilmente ridotto nel prossimo futuro, ma per rendere ancora più convenienti e sostenibili questi nuovi flussi sono necessari sia interventi regolamentari che investimenti infrastrutturali, in un quadro di negoziati transatlantici.

          Il settore privato si sta adattando alla riduzione dell’impronta energetica, anche se restano alcuni problemi di adozione di nuove tecnologie lungo tutte le filiere produttive, con complessi interventi sistemici soprattutto per le reti elettriche. Anche le abitudini dei consumatori dovranno cambiare ulteriormente, con riflessi sul consenso politico necessario a sforzi pubblici per sostenere i costi (almeno iniziali) della transizione – un consenso che ad oggi non appare sufficiente per la rapida attuazione di interventi su larga scala.

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