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Attività

Investire in conoscenza: più innovazione, migliori infrastrutture, nuova istruzione

    • Cernobbio
    • 5 Novembre 2010

          Sono tre i grandi temi da cui ripartire per consentire all’Italia di affrontare in modo competitivo le nuove e sempre più pressanti sfide globali: le politiche dell’innovazione, le infrastrutture tangibili e intangibili per il sistema della conoscenza e i modelli di istruzione per favorire occupazione e competitività.

          In un sistema socio-economico estremamente “parcellizzato”, prevalentemente costituito da piccole e medie imprese che faticano sempre di più a nascere, crescere e innovare, si conferma in primo luogo l’urgenza di ridefinire il ruolo strategico e la missione della pubblica amministrazione. Considerando come, per la prima volta dal dopoguerra, sia in atto una politica di tagli sulla spesa legata ai public services – cui si accompagna per contro un incremento della domanda e delle aspettative da parte dei cittadini – le maggiori opportunità discenderanno imprescindibilmente da un unico e fondamentale presupposto: la capacità di innovare.

          All’interno del sistema pubblico occorre un deciso intervento di riqualificazione delle risorse umane e di re-ingegnerizzazione delle risorse economiche: se da un lato la prevalente cultura giuridico-formale dovrebbe infatti aprirsi all’ingresso di competenze scientifico-tecnologiche, dall’altro l’inevitabile contrazione di risorse che caratterizzerà gli anni a venire impone un ripensamento profondo in termini di ricomposizione della spesa pubblica e di fattori organizzativi. Rapidità di risposta, ottimizzazione nella gestione delle risorse disponibili ed efficienza distributiva dei finanziamenti saranno infatti largamente insufficienti se non adeguatamente supportate da  azioni “indirette” di economia di spesa e seeding di nuovi mercati e opportunità industriali.

          Un programma sistemico di efficientamento energetico degli edifici pubblici potrebbe ad esempio generare non solo innovazione e occupazione, ma anche  risparmi significativi, mentre settori tradizionalmente associati alle pressioni della spesa corrente, quali la Sanità, potrebbero diventare grandi aree strategiche di investimento. Alla luce della rapida evoluzione dai sistemi chiusi ai sistemi aperti, in un’arena competitiva che riguarda sempre meno le singole aziende o le singole istituzioni e sempre più interi territori, accanto agli investimenti in R&D, alle nuove tecnologie (ad esempio quelle ICT), ai fattori di connessione e alle interfacce università-imprese assumono poi importanza sempre crescente il public procurement, i sistemi di innovazione in grado di coinvolgere maggiormente la domanda e gli utenti finali e le politiche demand-side, user driven e creativity driven, caratterizzate da un approccio più corale e dal paradigma “technology for social”.

          Riveste infine un’importanza cruciale il tema della valutazione della spesa pubblica in ricerca e innovazione, che troppo spesso risulta non solo quantitativamente modesta, ma anche mal ponderata in termini di confronto con la domanda reale – si pensi ad esempio ai Fondi per il Mezzogiorno – e di resa sul piano dei risultati. I dirigenti pubblici dovrebbero da un lato prevedere meccanismi efficaci di valutazione ex-ante (finalizzati – ad esempio attraverso sistemi di peer-review – all’individuazione dei progetti più meritevoli di finanziamento) e, dall’altro, monitorarne in modo costante e regolamentato i relativi ritorni.

          Nel nostro Paese, caratterizzato da un basso stock e da una scarsa valorizzazione del capitale umano, occorre inoltre intervenire sulle infrastrutture tangibili e intangibili, complementariamente indispensabili a far emergere le eccellenze e ad aumentare i tassi di rendimento degli investimenti in conoscenza. Si conviene in tal senso sulla necessità di porre al centro dell’attenzione la valorizzazione del merito e i meccanismi di selezione, ad esempio attraverso una diffusione sistematizzata di test standard omogenei ed affidabili (sul modello dei test internazionali SAT o di quelli della Scuola Normale di Pisa) per valutare gli effettivi livelli di preparazione nel corso delle diverse fasi formative.

          Le università dovrebbero avere maggiore autonomia e libertà di scelta (ad esempio nella selezione dei docenti, nelle modalità retributive, etc.) ma, al contempo, essere maggiormente responsabilizzate. Di qui l’importanza di un meccanismo trasparente che – attraverso regole, criteri internazionali, valutazioni esterne indipendenti, piani di lavoro degli studenti, attività di divulgazione, etc. – sia in grado di attivare credibilmente un processo di selezione “naturale” e di competizione per l’eccellenza e l’attribuzione dei fondi. Viene in particolare proposta l’attivazione di un progetto per la sperimentazione di “laboratori di contaminazione culturale” o “cantieri di paideia industriale”, da intendersi come luoghi fisici – da collocare prioritariamente nelle aree industriali dimesse – di integrazione dei saperi, delle tecnologie e delle persone. Il relativo schema organizzativo, in un’ottica di mobilitazione corale, sussidiarietà, proiezione internazionale e trazione  partecipativa, dovrebbe in particolare prevedere: attivazione a partire dalla contrattazione sindacale o dalla concertazione tra Enti locali e associazioni di rappresentanza datoriale e sindacale (con funzione di prevenzione o recupero rispetto a situazioni di crisi industriale), la coesistenza materiale e l’integrazione funzionale di aule, laboratori e residenze (nuovi lay-out di innovazione e formazione), un percorso negoziato di integrazione in rete e una messa a disposizione dei risultati della ricerca subordinata a un comprovato aumento di crescita o di efficienza.