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Attività

Il valore economico dei beni artistici e culturali

    • Roma
    • 24 Novembre 2010

          La gestione e la valorizzazione di un vasto e importante patrimonio culturale impone un’attenta politica culturale, una ricerca continua di un punto di equilibrio tra tutela e sviluppo economico, tra valorizzazione del bene e attenzione a non “consumarlo”, tra conservazione dell’arte antica e promozione di quella contemporanea.

          Al settore della cultura va poco più dello 0,20% del bilancio dello Stato: in Europa la media è più alta e in Francia si arriva all’1%. Peraltro le entrate del Ministero per i Beni e le Attività Culturali non affluiscono al Ministero stesso, bensì sono gestite dal Tesoro che provvede poi alla ripartizione. Una procedura, questa, avviata nel 2007 che ha sollevato non poche critiche.  

          I beni culturali continuano ad avere valore in sé, sia esso educativo, sociale e artistico. La funzione della tutela resta fondamentale ed è prerogativa dello Stato, come irrinunciabile è il ruolo delle sovrintendenze, di cui alcuni hanno, però, criticato alcuni aspetti ottocenteschi e arretrati.

          L’Italia ha 44 siti considerati dall’Unesco patrimonio universale dell’umanità, realtà che devono diventare fruibili per tutti e la cui tutela e valorizzazione dovrebbe passare soprattutto attraverso le istituzioni. Non è solo un problema di risorse: ci sono giacenze di cassa – si è parlato di circa 650 milioni di euro – che dimostrano come il tema vero sia in realtà una cronica incapacità di gestione del denaro a disposizione. Il caso Pompei, una tragedia recente di cui molto si è discusso, viene letto non come una questione di risorse, ma come un fallimento di anni di gestione poco accurata e inefficiente.

          Tutelare il patrimonio – secondo alcuni – non può significare bloccare lo sviluppo del Paese, tenendo ferme per anni importanti opere pubbliche. In tempi recenti sono stati riavviati dal Ministero circa 100 progetti che erano rimasti, per una ragione o per un’altra bloccati, con un conseguente allungamento dei tempi e dei costi per il completamento dell’opera. Certo, non vanno sottovalutate le ragioni dei sovrintendenti che portano comunque una responsabilità pesante di tutela. In questo senso è stata auspicata una “standardizzazione “ che conduca ad un sistema di regole riconosciuto a livello nazionale.

          Se lo Stato destina poco più dello 0,20% al patrimonio culturale non va però dimenticato che l’industria culturale rappresenta il 2,3% del Pil italiano. Andrebbe, quindi, incentivata una cultura politica più pragmatica che privilegi un cambio di paradigma con più investimenti  e meno sussidi: investire in cultura dovrà corrispondere a criteri di perentorietà, tempestività e trasparenza.  

          Importanti risultati sono venuti dalla collaborazione tra il pubblico che deve dare la linea progettuale e il privato sociale che deve lavorare per avvicinare l’arte a chi ne è lontano, aumentando l’efficienza e gestendo con criteri manageriali. A Roma la recente mostra dedicata a Caravaggio ha registrato 488 mila visitatori e un indotto finanziario di 30 milioni di euro.

          Altre esperienze positive: nei primi nove mesi del 2010 le presenze nei musei sono aumentate del 14,9% grazie allo sforzo di promozione e pubblicità compiuto d’intesa con sovrintendenti e direttori di musei. Un’originale iniziativa ha coinvolto giovani studenti che attraverso la loro creatività hanno fatto aumentare del 300% le visite alle catacombe di Napoli.

          Secondo alcuni, però, va segnalato  un arretramento delle politiche culturali pubbliche. In particolare la legge 122 ha avuto esiti non positivi: ne è uscita fortemente danneggiata la logica di una collaborazione tra pubblico e privato, con un conseguente scoraggiamento dei privati stessi ad investire in cultura. Da molti è stata invocata una normativa di fiscalità di vantaggio così da incentivare gli imprenditori a spendere denaro per la cultura. Gestire al meglio la tutela e la valorizzazione dei beni culturali non vuol dire soltanto beneficiare di vantaggi fiscali, ma significa cambiare mentalità. Molti musei veneziani si sono riuniti in una Fondazione che è divenuta ormai  autosufficiente e fattura circa 20 milioni di euro: a fronte di un aumento del flusso turistico del 7.3 % i visitatori dei musei sono aumentati del 9,3%.  Il grande e magnifico patrimonio culturale italiano rappresenta una sorta di capitale dormiente che va risvegliato con creatività e coraggio e, al tempo stesso, con cautela e politiche sagge.

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