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Attività

Il nuovo quadro energetico. Dai driver di crescita tradizionali a quelli rinnovabili

    • Napoli
    • 14 Maggio 2010

          La crisi economica globale, caratterizzata dal rapido succedersi di eventi straordinari in un breve arco di tempo, sta radicalmente trasformando il sistema energetico. Nell’attuale contesto, sei fattori appaiono particolarmente cruciali: 1) La scoperta dello shale gas: un evento sconvolgente, dovuto in parte al sostenuto costo del metano. Stando a una recente valutazione, tale scoperta potrebbe trasformare gli Usa in esportatore netto permanente – con straordinarie ripercussioni sul mercato del metano liquido, che attualmente, con la domanda globale in fase di contrazione, è in cerca di nuovi mercati. 2) La domanda mondiale continua a spostarsi verso Est – soprattutto su spinta della Cina, che importa quantità sempre crescenti di petrolio e si assicura sempre più upstream assets e sovracapacità. 3) La promessa di esplorazioni sottomarine sta diventando realtà, e sembra destinata (o quantomeno lo sembrava, sino a tempi recenti) a proseguire la sua straordinaria crescita. Ma la grave fuoriuscita di greggio dalla piattaforma della Bp, un evento disastroso ancorché inconsueto, cambierà le regole del gioco sino a determinare, in futuro, un minore sfruttamento dei giacimenti sottomarini – a costi più alti – accompagnato da normative più stringenti a garanzia della protezione e l’integrità dell’ambiente. 4) L’emergere dell’opinione comune – diffusa a tutti i livelli, ma principalmente negli ambiti dei consumatori e della policy – in base alla quale il consumo di idrocarburi a livello mondiale debba diminuire, benché le dinamiche che regoleranno la transizione non siano ancora chiare. 5) La spettacolare crescita degli strumenti finanziari legati al petrolio e scambiati sia in borsa che sui “mercati decentralizzati”, con il conseguente affermarsi di due categorie di attori finanziari: gli speculatori attivi e gli investitori passivi – come nel caso dei fondi Etf. Ci si domanda quale ruolo abbiano i flussi finanziari nel determinare il prezzo del greggio e la sua volatilità, e in che modo interagiscano con i fondamentali, la geopolitica e le strategie dei soggetti coinvolti – in particolare l’Opec. 6) L’accumularsi della capacità di produzione inutilizzata (spare capacity), accompagnato dall’aumento di altri fattori, quali la capacità produzione e di rete.

          Nell’ambito del mercato del gas è emerso un consenso diffuso, che vede nello shale gas un fattore probabilmente in grado di stravolgere le regole del gioco e favorire l’indipendenza energetica – e quindi la sicurezza – dell’Europa e degli Stati Uniti. Tuttavia ci si interroga circa la commerciabilità della nuova risorsa, e i rischi ambientali rappresentati dagli agenti chimici necessari alla sua estrazione, che potrebbero contaminare le acque freatiche. Un altro cruciale problema dell’attuale mercato del gas naturale riguarda lo scollamento tra il prezzo a lungo termine (per lo più indicizzato in base al prezzo del petrolio, e attualmente in fase di aumento), e i prezzi spot – che risentono soprattutto dell’evolversi dei principi fondamentali del mercato, e che alla luce delle attuali condizioni di domanda e offerta stanno scendendo.

          Nell’attuale contesto, tra l’incertezza della domanda globale del dopo-crisi, l’inaspettata scoperta dello shale gas e i confusi segnali dati dai prezzi, pianificare gli investimenti nel lungo termine è diventato estremamente difficile. Per quanto riguarda la tendenza del settore energetico nel lungo termine, si è discusso di un nuovo paradigma di crescita che non sia basato (o lo sia molto di meno) su risorse esauribili, nel contesto di un aumento della domanda – soprattutto da parte dei Paesi emergenti. Questa transizione, lenta ma ineluttabile, sarà trainata dalla maggiore efficienza energetica e da progressi tecnologici su larga scala. È interessante vedere come in questa fase di transizione la Cina sia in prima linea, considerati i suoi enormi investimenti nella ricerca e nello sviluppo in campo energetico. Ancora non è chiaro quali attori/Paesi occuperanno un ruolo dominante nel mondo industrializzato, ma gli Stati sovrani, sebbene economicamente provati, sembrano i candidati più probabili.

          Alle luce degli scenari energetici recentemente prospettati dalla Aie, e del parziale fallimento di Copenhagen, ci si domanda come sarà possibile risolvere la grande questione energetica: come fare in modo che il sistema eroghi abbondanti quantità di energia sostenibile (a bassa emissione di carbonio) a costi contenuti e nel lungo termine. È stato raggiunto un ampio consenso circa l’obiettivo generale e la principale strategia – ovvero il perseguimento di una varietà ben equilibrata di fonti energetiche e un cospicuo investimento nella tecnologia e nei trasporti. Il dibattito però si prefiggeva di individuare le policies e gli strumenti più appropriati da adottare, soprattutto per la promozione delle energie rinnovabili – che ovviamente rappresentano un elemento fondamentale dell’equazione. L’esile accordo di Copenhagen ha stabilito le regole: l’obiettivo di una riduzione globale delle emissioni entro il 2050 richiede lo sviluppo e la diffusione – sia nel mondo industrializzato che nelle economie emergenti – di nuove tecnologie efficienti e rinnovabili, dei biocombustibili e del sequestro dell’idrogeno e del carbonio, come nel caso dell’energia nucleare.

          A livello globale, nei prossimi quarant’anni i fondi mancanti da destinare alla ricerca, lo sviluppo e la dimostrazione di fonti di energia pulita volti a ridurre le emissioni globali ammonteranno a circa 16-20 miliardi di dollari. Per fare fronte a questo gap è necessario attuare normative energetiche globali e meccanismi finanziari in grado di sostenere la transizione tecnologica delle economie emergenti. Inoltre, l’Organizzazione mondiale del Commercio dovrebbe adottare nuove regole, che garantiscano a tutti una parità di condizioni all’interno del mercato globale dell’energia, favorendo una equa competitività nel dispiegamento e la diffusione delle tecnologie a bassa emissione di carbonio.

          Un’efficace governance del clima dovrebbe in ogni caso basarsi non tanto sull’imposizione di trattati internazionali, quanto su incentivi di altro tipo – non ancora definiti e implementati.
          La transizione verso un sistema energetico a bassa emissione di carbonio implica inoltre la radicale trasformazione dell’assetto delle forniture. Le energie rinnovabili tendono ad essere associate ad una modalità di produzione diffusa e su scala ridotta. Un modello che comporta il ridimensionamento del sistema generativo tradizionale, basato su aziende erogatrici pubbliche, a favore di una produzione decentralizzata, soprattutto da parte dei settori industriali, da abbinare a un imponente dispiego di infrastrutture.

          Si è inoltre discusso delle direttive europee e nazionali volte alla promozione del green business. L’Ue si avvale di un sistema molto avanzato, basato su un mercato del carbonio che prevede lo scambio di quote di emissione, in base al sistema Ets. Tuttavia, il mercato del carbonio è illiquido, altamente volatile e incapace nel lungo termine di dare quei segnali che una vera corsa verso l’innovazione richiederebbero. Il sistema basato sugli incentivi, soprattutto in Italia, è inadeguato, gravoso per il consumatore e inefficace nell’assegnare investimenti ai progetti più promettenti. È emersa la diffusa opinione secondo la quale occorrerebbe assegnare alla ricerca risorse pubbliche e private, al fine di sviluppare tecnologie capaci di segnare una svolta definitiva.

          Si è poi dibattuto dell’opzione nucleare. Per quanto riguarda l’impatto ambientale, l’energia nucleare sembra rappresentare una buona scelta, dal momento che pur non essendo priva di emissioni di carbonio è certamente meno dannosa per il clima rispetto ai combustibili fossili. La tecnologia nucleare di terza generazione oggi è in grado di operare ad altissimi livelli di sicurezza. Il nucleare, inoltre, sembra una buona opzione anche in termini di autonomia e sicurezza, dal momento che l’uranio è ampiamente disponibile e rappresenta solo il 6 percento dei costi operativi complessivi. Il punto fondamentale è rappresentato dai costi: ad oggi, l’energia nucleare non è competitiva, soprattutto a causa dell’enorme costo di costruzione degli impianti, che richiedono investimenti dall’orizzonte temporale prolungato (quarant’anni), con conseguente, forte esposizione a rischio regolatorio. Nel passaggio all’energia nucleare – che in Cina e in altri Paesi emergenti sta progredendo a ritmi spettacolari – l’Italia si trova inoltre ad affrontare un’ulteriore sfida, rappresentata dal divieto  imposto dal referendum del 1987. E mentre l’economia e l’attuale clima politico potrebbero favorire la ripresa dell’attività nucleare, l’industria dovrà scontare un significativo ritardo in termini di professionalità e capitale umano.

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