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Attività

Elezioni americane di mid-term: risultati e analisi

    • Roma
    • 6 Novembre 2014

          La vittoria repubblicana nelle recenti elezioni di mid term negli Stati Uniti è sicuramente significativa nei numeri e nelle dimensioni. Il Presidente Obama si trova potenzialmente contro sia il Congresso che il Senato. Certamente non una novità per il sistema politico americano: negli ultimi sessanta anni solo Jimmy Carter e Lyndon Johnson non hanno dovuto gestire un “divided government” che resta, dunque, una consolidata tradizione istituzionale del sistema politico di oltre Atlantico. Il governo diviso è sostanzialmente la regola e non l’eccezione e, secondo alcuni, rientra nella percezione che l’elettore ha di una necessità di bilanciamento dei poteri.

          Quel che resta da capire è come Obama e i repubblicani gestiranno questi due difficili anni che mancano alle Presidenziali del 2016. Per i più ottimisti i repubblicani cercheranno la strada del compromesso: sia perché nelle elezioni di mid term l’ala moderata ha ottenuto una sostanziosa affermazione, bilanciando così gli eletti dei tea party, sia perché – proprio in vista del 2016 – i repubblicani hanno bisogno di portare a casa risultati politici che possano spianare la strada della Casa Bianca al loro candidato, chiunque esso sia.  Potrebbero essere, dunque, tentati dalla via della mediazione e non da quella dello scontro frontale. Lo fa pensare anche il fatto che alcuni candidati emergenti come Tom Cotton, Joni Ernst e Cory Gardner hanno vinto rispettivamente in Arkansas, Iowa e Colorado con una piattaforma locale sostanzialmente moderata.

          Per i più pessimisti lo scontro sarà duro e i prossimi due anni saranno costellati da molti inciampi e confronti aspri. La vittoria dei repubblicani dimostra che il sistema americano è sempre più polarizzato: collegi più coesi con la spesa elettorale in aumento, soprattutto quella indipendente. L’America oggi è polarizzata come l’Europa negli anni ’50, guidata da leader molto radicalizzati. Obama difenderà la sua agenda anche con potere di veto e decreti legge. E i repubblicani cercheranno di affermare la loro. 

          Le elezioni del 2014 sono state caratterizzate dallo slogan “stop Obama “. Un voto contro il Presidente, contro soprattutto il non aver saputo portare a termine le molte riforme promesse – prima fra tutti la mancata legge sull’immigrazione – che è costata ad Obama il voto dei latinos che tanto avevano contribuito alla conferma del secondo mandato. In sostanza gli elettori hanno punito quella che ai loro occhi è stata l’incapacità del Presidente di non portare risultati e di trasformare in fatti un affascinante, ma probabilmente irraggiungibile libro dei sogni.

          E, inoltre, pur non essendo la politica estera al centro del dibattito, l’elettorato americano non ha in fondo perdonato a Obama le incertezze sull’Ucraina, la crescita dell’Isis e la gestione della crisi siriana. Non ha essenzialmente perdonato che l’America vanga percepita in casa e all’estero come un Paese non più “bound to lead”. Potrebbe, secondo alcuni, essere l’Iran la svolta: la cancellazione delle sanzioni porterebbe una grande novità nella politica estera di Obama, con un conseguente ridisegno della geopolitica mediorientale.

          Per gli europei – osservatori interessati dei risultati di mid term – è difficile capire come Obama possa aver perso le elezioni, visti i progressi crescenti dell’economia americana. I dati sono buoni, ma il problema è il fattore tempo, troppo breve perché gli sforzi sull’economia potessero essere premiati.  Troppa ancora la povertà, sempre più largo il divario tra ricchi e poveri, e non ancora efficaci anche per la classe media i provvedimenti presi. Dalla vittoria repubblicana potrà beneficiare il negoziato commerciale di libero scambio tra Europa e Stati Uniti, essendo i repubblicani, da sempre, sostenitori del libero commercio e della proposta di creare un’area euroamericana di libero scambio.

          • Giampiero Gramaglia, Massimo Teodori e Marta Dassù
          • Giampiero Gramaglia, Massimo Teodori, Marta Dassù e Sergio Fabbrini
          • Gianni Letta e Giulio Tremonti
          • Marta Dassù e Sergio Fabbrini