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Attività

The digital challenge: infrastructure, content and business models

    • Firenze
    • 18 Novembre 2011

          La rivoluzione digitale è ancora in corso. Radicali sono stati i cambiamenti, ma molti saranno ancora  gli aggiustamenti, se non vere e proprie inversioni di rotta. Lo sapevano d’altra parte anche le autorità americane quando non più di venti anni fa hanno scelto di far crescere il sistema: sono 2 miliardi e 500mila le persone che oggi nel mondo usano internet. La tecnologia accelera qualunque processo, ma non senza qualche interruzione e ripensamento: accade per l’hardware delle infrastrutture, ma può essere una tendenza anche per i modelli di business e per i contenuti. Con una certezza ormai acquisita: la strada è quella di un’unica piattaforma digitale dove convergono gli internet providers, gli operatori del mobile, i network televisivi e l’editoria.

          Quello che adesso conta è il fattore tempo: negli ultimi cinque anni il mondo digitale è cambiato a grande velocità, molto più che in passato. E non è lontano il momento in cui – solo per fare un esempio –  il 90% della telefonia mobile accederà ad applicazioni video. In un’evoluzione vorticosa molti saranno gli spostamenti sulla catena del valore e molti i nuovi investimenti richiesti. In gioco c’è la sostenibilità del sistema che va salvaguardata, immaginando in primo luogo soluzioni per i paesi sviluppati diverse da quelle utili per i paesi in via di sviluppo.

          E ci vorranno regole, anche se non è ancora chiaro come concepire la governance, sia essa politica o economica. Difficile immaginare una “ONU per il digitale”: ma poco percorribile sembra anche un’idea di regolamentazione molto stringente, cara al presidente francese Nicolas Sarkozy. Così come non è semplice ricercare l’equilibrio tra libertà e sicurezza: non si può certo ipotizzare per l’Occidente un sistema alla cinese dove la censura è ancora un dato di fatto, ma al tempo stesso vanno imposte regole chiare per evitare che la comunità internazionale occidentale sia nuovamente una preda indifesa di una prossima non augurabile Wikileaks.

          Anche sugli aspetti economici vengono invocate regole: si auspica in particolare un quadro di riferimento più generale. Non solo emergono grandi differenze  tra Europa e Stati Uniti, ma anche all’interno dell’Europa stessa. E non è un caso che i maggiori over the top siano americani laddove negli Usa le aziende beneficiano di un sistema regolatorio molto vantaggioso. In generale oggi si procede essenzialmente per accordi bilaterali, soprattutto per quanto riguarda le revenues. Certo i contrasti soprattutto tra aziende di telecomunicazione e over the top esistono e sono forti: non si può però escludere, secondo alcuni, che potrebbero essere maturi i tempi per un accordo, peraltro certamente non facile.

          In un quadro che cambia velocemente vanno aggiornati con grande rapidità i modelli di business, a cominciare dal settore delle infrastrutture. Interessanti sono alcuni nuovi case history come quelli di Messico, Nigeria e Indonesia che sono stati capaci di attrarre investimenti a lungo termine sulla rete. Quanto ai modelli di business dei contenuti c’è sicuramente un’esigenza di organizzazione dei processi: non basta avere accesso ad una grande quantità di dati – o nel caso del sistema dell’informazione ad una mole continua di notizie. I contenuti vanno comunque sistematizzati e ordinati e valutati, pena l’esclusione dal mercato.

          Nell’era della piattaforma digitale gli old media, in primo luogo la televisione, devono necessariamente modificare contenuti e processi produttivi, senza però rinunciare alla bandiera della qualità. Se la rete porta un eccesso di informazioni e una moltiplicazione delle fonti resta fondamentale la capacità selettiva del giornalista. Ma la qualità costa. Certamente è anche per questo motivo che la BBC, una delle ammiraglie internazionali della informazione di pregio, sostiene la scelta del finanziamento pubblico come mezzo per mantenere una qualificata selezione analisi e interpretazione delle notizie. Non certo per riaprire un vecchio dibattito pubblico-privato, ma per riaffermare la necessità di un servizio pubblico di qualità. Nell’era della comunicazione digitale è un dato di fatto che le notizie si diffondano istantaneamente: è sicuramente la rete a permetterlo. A garantire che vengano poi interpretate con correttezza e conoscenza dei fatti resta ancora il compito del giornalista di qualità, sia esso un “nativo” o “immigrato” digitale.