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Attività

The Aspen Italia City of Venice Forum. Venezia: un modello per le smart cities?

    • Venezia
    • 9 Maggio 2014

          È difficile dare una definizione univoca del concetto di smart city: se da una parte si può associare all’applicazione integrata di tecnologie innovative alla gestione della città, dall’altra si pensa all’adozione di metodologie di ottimizzazione e coordinamento di soluzioni low-cost e buone pratiche già in uso, o almeno già note. In questo quadro risulta evidente la verità quasi paradossale che l’eccessiva frequenza del tema delle smart city nelle discussioni attorno al destino delle (nostre) città, invece di portare a punti di chiarezza ha ampliato il campo dell’incertezza e della confusione concettuale.

          Invece tre sembrano essere le parole chiave per analizzare il tema: passioni, problemi, possibilità. Passioni: una città “smart” deve esprimere un potenziale emozionale e seduttivo rispetto ai propri utenti, in quanto vissuta come lovable and liveable. Partendo dal presupposto che circa il 75% della popolazione europea vive in città, a livello di Commissione Europea si sta discutendo la possibilità di elaborare una “European Urban Agenda”, in grado di definire una “European urban dimension”, studiando le condizioni per una governance multi-livello. Da tempo e in diversi contesti internazionali si incoraggiano modelli di densità urbana sostenibile, la realizzazione di walkable cities, la promozione del cultural heritage come fattori di aggregazione di diverse identità culturali, l’immissione di un grado sempre più avanzato di tecnologia nei servizi urbani. Questi modelli, che rientrano nella più ampia definizione di smart, si stanno tuttavia rivelando costosi sia per gli utenti che per le amministrazioni. Mentre ad esempio negli Stati Uniti le città che negli ultimi anni hanno sviluppato il mercato del cultural heritage, dell’arte e del tempo libero stanno diventando le più costose da abitare; su un altro fronte si assiste ad una concentrazione delle industrie new-tech negli edifici storici: a Manhattan la maggior parte delle nuove start-up ha trovato sede in edifici pre-war.

          I problemi che più sembrano penalizzare la gestione urbana, in Italia ma non solo, sono spesso associati all’inadeguatezza dei meccanismi burocratici: procedure di approvazione lente, frammentazione dei poteri, moltiplicazione e sovrapposizione di competenze istituzionali. Non va dimenticato, inoltre, che città come Venezia, quasi una sintesi estrema ed esemplare delle città storiche italiane, devono fronteggiare anche altre tipologie di rischio: da un lato la vulnerabilità delle amministrazioni rispetto ad aziende che propongono la vendita di servizi tecnologici per risolvere i problemi di gestione della città, dall’altro il rischio di trasformarsi in sistemi urbani mono-culturali (si pensi a Venezia città unicamente turistica, ad esempio). Contemporaneamente sussistono annosi ed essenziali problemi ancora da risolvere, come ad esempio la mancanza di alloggi sociali (social housing), l’organizzazione del trasporto pubblico nonché problemi via via più gravi, come quelli causati dalla gestione sempre più complessa dei rifiuti e quelli derivanti dal climate change e dalle connesse e sempre più frequenti catastrofi naturali.

          Perfino una città speciale come Venezia, protetta da una struttura fisica che è assieme home, heritage, hosting ed è al centro di attenzione globale al suo destino, pare avvertire una crescente fatica, sotto il peso delle difficoltà. Difficoltà che anche le altre amministrazioni cittadine lamentano e condividono, soprattutto per la sostanziale impossibilità di ottenere contributi statali per migliorare i servizi locali; in questa situazione emerge, invece, un diffuso interesse rispetto all’innovazione gestionale e programmatica del territorio e delle città, che sembra finalmente sancita dalle recenti leggi italiane in materia di città metropolitane e pare avviata ad ulteriori semplificazioni e ottimizzazioni, in forza dei progetti legislativi riguardanti le provincie e le regioni.

          In questo contesto, quale il futuro delle società avanzate, che sembrano avviate ad una terza rivoluzione industriale? Quest’ultima esige una nuova interpretazione delle questioni urbane e nuove concessioni per il loro superamento, una sorta di nuovo codice quale fu quello della Carta d’Atene, propugnata da Le Corbusier, nei confronti della prima età industriale. La terza rivoluzione industriale potrebbe/dovrebbe determinare, secondo l’ipotesi più positiva, il ripopolamento e la riqualificazione dei centri storici e dei centri minori, grazie a nuove opportunità di lavoro derivanti dalle tecnologie emergenti (3D manufacturing, start-up, gestione dei big data, istituzioni universitarie, e così via). Non vanno però dimenticate le proposte del recente passato che sembrano contenere ancora insegnamenti per il presente: così il dibattito, molto prammatico e “politico”, si confronta con la gloria della Serenissima e delle altre città stato italiane, da considerare esempi “storici” di smart cities; con l’elaborazione di Thomas Mann, che fece di Venezia il monito simbolico della decadenza, rivolto a tutti noi; con i progetti dei grandi architetti italiani del dopoguerra per la gronda della laguna, non realizzati, ma che restano profezia di una nuova Venezia; con la speranza che un’’infrastruttura ecologica come il Mose manifesti in pieno l’efficienza dell’innovazione che la sostiene. Negli anni ‘60, lavorando al progetto, non realizzato, per l’ospedale di Venezia, Le Corbusier era solito esaltare l’intelligenza e la modernità del sistema della mobilità che Venezia era stata in grado, storicamente, di elaborare.

          Venezia è ospite, testimone simbolico e storico nonché reale soggetto di attenzione delle possibili azioni per la sua riqualificazione secondo i principi delle smart cities: è necessaria però un’assunzione di responsabilità collettiva, aperta e partecipata, perché la città viva con più energia, irrinunciabile esempio di irrinunciabile qualità urbana da proiettare nel futuro.

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