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Attività

Alta tecnologia nelle scienze della vita: la posizione italiana

    • Milano
    • 19 Gennaio 2015

          L’analisi delle dinamiche industriali nel corso della profonda e protratta crisi che ha investito il sistema manifatturiero italiano evidenzia l’importanza del comparto delle scienze della vita. In Italia, l’industria farmaceutica e quella dei dispositivi medici hanno aumentato il proprio contributo all’economia per il valore aggiunto (dal 5% al 6% dell’industria manifatturiera dal 2008 al 2013) e ancora più per l’export (dal 5% al 7%).

          Su scala internazionale, la crescita del settore deriva dalla stabilità della domanda, dalla maggiore dimensione media delle imprese, dalla loro più spiccata proiezione internazionale e dalla capacità di innovare, con un incremento del numero di nuovi farmaci innovativi lanciati nel corso della crisi. Su scala nazionale, appare evidente la capacità di aumentare l’export, “intercettando” quote crescenti della domanda mondiale e di attrarre investimenti esteri su livelli che non hanno pari in ambito industriale. Anche se il settore è sempre più integrato nell’economia globale, molto del valore aggiunto è ancora creato e trattenuto nei confini nazionali, con un elevato effetto moltiplicatore su economia, ricerca e salute.

          La disponibilità di capitale umano qualificato, in particolare di laureati in materie scientifiche, a un costo che rimane relativamente contenuto, e l’elevata produttività rinvenibile nei dati industriali sono certamente fattori di vantaggio competitivo che hanno permesso all’Italia di assumere un ruolo chiave come base di produzione per il mercato europeo.

          Il sistema nazionale di ricerca, in ambito farmaceutico, biomedico e biologico, ha volumi di produzione scientifica analoghi a quelli dei Paesi leader al mondo con un peso relativo crescente tra le pubblicazioni scientifiche più citate, anche se si registrano tassi di produzione brevettuale inferiori alla media, persistenti difficoltà nel trasferimento tecnologico e nell’adozione delle innovazioni in ambito medico e farmaceutico, a causa soprattutto della frammentazione del quadro regolatorio nei rapporti tra Stato e Regioni.

          L’analisi dell’evoluzione delle reti e dei cluster di ricerca palesa, inoltre, una tendenza verso una progressiva marginalizzazione dei sistemi locali di ricerca scientifica e tecnologica italiani riconducibile all’elevata frammentazione del sistema innovativo nazionale, alle difficoltà di fare interagire la ricerca pubblica e privata, a fronte della crescente attrattività dei principali poli di ricerca globali e continentali dove si promuove l’integrazione tra diversi ambiti di ricerca, sviluppo e applicazione.  

          Dalla convergenza tra traiettorie scientifico-tecnologiche in passato concepite come distanti tra loro nascono, infatti, iniziative imprenditoriali di successo, che intersecano settori quali il biomedicale, farmaceutico, biotech,  informatico. Le imprese italiane possono avere opportunità d’entrata in questi ambiti, con ottimi risultati anche su piccola scala, purché si intervenga per favorire l’accesso al capitale di rischio e al mercato da parte delle nuove imprese ad alta tecnologia. Più in difficoltà appare, al contrario, il sistema pubblico di ricerca, che non sembra riuscire a implementare modelli organizzativi innovativi, che facilitino la costituzione di laboratori multidisciplinari e aggiornino i curricula formativi per tener conto e, ove possibile, partecipare con una posizione di leadership, all’evoluzione della frontiera della ricerca scientifica e tecnologica.

          Per incrementare la competitività del Paese, è fondamentale rafforzare gli Enti Regolatori nazionali, dotandoli di risorse e personale adeguato a rendere più efficiente i processi autorizzativi, migliorando le procedure ed evitando duplicazioni e frammentazioni sul territorio.

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