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Italia e Francia ad un anno dal Trattato del Quirinale. Le sfide della sovranità e le sfide geopolitiche

  • Roma
  • 2 Febbraio 2023
  • 3 Febbraio 2023

        Le opportunità di una collaborazione sempre più stretta tra Italia e Francia, rafforzata dallo strumento del Trattato del Quirinale e dai protocolli firmati dai parlamenti, si dovranno dispiegare sia nell’ambito UE sia in quello del “vicinato” comune ai due Paesi guardando a Sudest.

        Il sistema di governo economico europeo va cambiato al fine di rendere l’Europa una “puissance”, per usare un termine caro alla Francia, ossia un attore aggregato che sappia muoversi su scala globale con le proprie scelte industriali e commerciali.

        La reazione alla pandemia ha offerto un esempio della bontà dell’approccio cooperativo, che ha portato al fondo di solidarietà Next Generation EU (NGEU) anche grazie alla cooperazione franco-italiana. L’approccio cooperativo è stato riproposto a fronte dell’invasione russa in Ucraina, sebbene sia stato adottato solo parzialmente nella gestione del mercato del gas.

        Proprio il settore energetico sarà un banco di prova cruciale, così come la politica di bilancio, per evitare che le scelte dell’UE abbiano come esito l’ampliamento, e non la riduzione, delle differenze tra i Paesi membri. La governance economica europea va comunque riformata per permettere agli stati di sostenere il proprio tessuto produttivo.

        La sfida odierna ricorda quella che ha portato in vita la CEE: restituire all’Europa spessore geopolitico di fronte al condizionamento e al pericolo rappresentato oggi dalla Federazione Russa. Riprendendo un altro tema degli anni ‘50, quello dell’”Europa della difesa” – all’epoca accantonato proprio per volontà francese – Italia e Francia possono contribuire alla realizzazione di un migliore sistema di sicurezza europeo anche costruendo un’industria militare congiunta.

        Il valore aggiunto dell’Unione Europea sta nell’offrire un sostegno maggiore agli ambiti industriali e commerciali di quanto non potrebbero fare i singoli Paesi: ci sono delle nuove regole nel gioco dell’economia mondiale, che non tende più alla liberalizzazione come obiettivo in sè, e l’Europa deve partecipare da protagonista, non da gregaria. Ad esempio, l’Europa non può farsi imporre prodotti industriali da Paesi terzi dove questi prodotti sono detassati o sovvenzionati dallo Stato, perché si tratta di concorrenza sleale. Se altri ricorrono ai dazi, l’Europa dovrà sostenere a sua volta il proprio sistema industriale.

        In ambito UE, c’è molto spazio per gli investimenti infrastrutturali: per esempio nell’ambito del distacco dalle energie fossili e della diversificazione delle forniture; sono necessarie anzitutto nuove infrastrutture transfrontaliere intraeuropee di connessione energetica, per distribuire in maniera efficiente l’energia prodotta in Europa. Altrettanto decisivo sarà lo sforzo per ricondurre tutta la catena di ricerca e di produzione sul territorio europeo, per non dipendere dalla Cina o da altri attori problematici.

        Dunque, vanno individuati i settori strategici che meritano il sostegno pubblico da parte dell’entità politica europea. Molti esperti sostengono che questi settori, appunto per la loro importanza, dovrebbero essere sussidiati al di fuori delle regole sul contenimento del debito: è appunto il modello NGEU, che identifica particolari ambiti su cui dirigere gli investimenti.

        Finché non c’è una politica di bilancio comune sarà impossibile pensare a interventi come l’Inflation Reduction Act americano, perché sarebbe demandato ai singoli Stati che hanno capacità di spesa molto diverse, con i più indebitati che sono di fatto posti sotto la sorveglianza della Commissione e hanno dunque un minore margine di manovra. I vincoli della Commissione possono anche essere virtuosi, come nel caso del NGEU, ma si deve andare oltre: ad esempio verso un meccanismo che aiuti le aziende europee ad investire nel resto del mondo.

        Posto che l’esercizio della sovranità è meglio esercitato a livello europeo che nazionale, che l’euro ha garantito la stabilità del continente in questi ultimi anni, e che la BCE garantisce in modo equilibrato gli interessi di tutti i membri dell’Unione Europea, alcuni partecipanti hanno notato che i governi stessi hanno rinunciato a strumenti fondamentali di politica economica: lo Stato deve comunque rimanere azionista di aziende strategiche (energia, trasporti, tecnologia), per pilotare specifici progetti di crescita industriale.

        Ma per declinare il concetto di sovranità in modo corretto, bisogna incorporarvi le nozioni di  legittimità e diritto. Non basta l’esercizio del potere: bisogna risolvere il problema della forma istituzionale e della compiuta coerenza democratica dell’Unione Europea che combini trasparenza e responsabilità, anche per offrire risposte al distacco dei cittadini dalla sfera politica in un clima di crescente sfiducia. Se i movimenti di protesta si rivolgono contro l’ingovernabilità del mondo globale, bisogna ripensare allora l’equilibrio tra globale, europeo e locale, sulla base di un migliore concetto di “protezione” e di una nuova considerazione dei bisogni dell’essere umano.

        C’è un delicato rapporto tra spinta verso una sovranità/autonomia europea e la classica sovranità nazionale: una possibile soluzione è lasciare spazio alla seconda fintanto che non ostacoli l’interesse generale della sovranità europea; proprio in tal senso vanno interpretate le intese bilaterali, compresa una più stretta collaborazione Italia-Francia.

        L’intreccio tra interessi generali e nazionali è evidente nel settore energetico, in cui un grande mercato molto ambito come quello europeo non è riuscito finora ad ottenere prezzi migliori dai fornitori, e ha comunque un mix energetico che non porta a una vera convergenza di politiche e progetti industriali. Vengono danneggiate da queste contraddizioni non solo la sicurezza energetica e la competitività delle imprese, ma anche la sostenibilità ambientale – che peraltro richiede un vasto programma di investimenti, al momento ancora insufficienti a intercettare quel salto tecnologico che permetterà di raggiungere la neutralità carbonica. Finchè le logiche politiche nazionali prevalgono, il settore energetico resterà comunque meno efficiente di quanto potrebbe essere. Inoltre, secondo alcuni partecipanti l’indipendenza energetica (probabilmente irrealistica in ogni caso) non è necessaria: il nodo importante è avere imprese energetiche efficaci ed efficienti.

        In termini più generali, l’Europa deve abituarsi ad avere “nemici alla frontiera”, non solamente partner più o meno potenziali – il che a sua volta rende ancora più urgente una visione geopolitica comune e una forte unità di azione. Oltre all’integrazione nel contesto UE, è importanti perseguire il progetto di “Comunità politica europea” che può aiutare a compattare il vicinato europeo attorno a valori e obiettivi condivisi, in futuro ricucendo anche il rapporto con la Russia.

        In una prospettiva italo-francese, questo sforzo inizia naturalmente dalla regione mediterranea, non certo ad esclusione di una visione globale ma a fronte di una diretta sovrapposizione di interessi prioritari. Ciò vale per la Libia e per il Mediterraneo orientale (compreso il rapporto difficile con la Turchia), come anche per il dossier migratorio.