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Attività

Western Balkan countries’ integration in the EU: the case for Kosovo

    • Incontro in modalità digitale
    • 27 Ottobre 2021

          Il processo di allargamento della UE è un grande successo politico e strategico, ma ha incontrato crescenti problemi, sia come capacità di integrazione sia come consenso politico tra gli attuali Paesi membri. Proprio i precedenti allargamenti stanno rendendo più difficili i prossimi passi nella stessa direzione, in particolare sulla base dell’esperienza in corso con Ungheria e Polonia. Mentre la Francia ha già espresso molte riserve su ulteriori adesioni, la nuova coalizione di governo tedesca non sembra intenzionata a proporre una strada alternativa, mentre l’Italia rimane tra i Paesi complessivamente più favorevoli a proseguire – sebbene con gradualità – sul cammino dell’allargamento.

          Anche i rapporti tesi con attori esterni ma influenti nella regione balcanica, a cominciare dalla Turchia, creano ulteriori sfide per la UE e i suoi partner regionali. In un contesto internazionale dinamico e fortemente competitivo, i Paesi balcanici sono inevitabilmente spinti a cercare anche altre sponde diplomatiche e forme di rassicurazione, assieme a rapporti economici. Intanto, il Covid-19 ha avuto un ulteriore impatto: oltre alla persistente influenza russa, la pandemia ha accresciuto la presenza cinese, in particolare, come possibile partner economico di crescente importanza in alcuni settori: si è così rafforzata una tendenza già in atto. In ogni caso, la continua ampia circolazione del virus rimane una grave minaccia per le prospettive economiche regionali, con evidenti rischi di ripercussioni politico-sociali.

          Il caso della Nord Macedonia è sintomatico delle questioni irrisolte: dopo un notevole sforzo per rispondere alle varie richieste europee, la decisione francese di bloccarne il processo di adesione nel 2019 (contestualmente a quello dell’Albania) invia un segnale negativo all’intera regione. Intanto, molti guardano oggi con particolare preoccupazione alla Serbia per un possibile regresso di questo Paese-chiave in termini di assetto interno, ma anche di atteggiamento internazionale verso i vicini – a cominciare ovviamente dal Kosovo.

          Un serio problema, sociale e politico, è quello dell’emigrazione di molti giovani verso i Paesi della UE e del relativo brain drain. Il rischio è in tal senso che il soft power europeo sia sufficiente a generare questi flussi, ma non abbastanza forte da stabilizzare la regione. D’altro canto, la liberalizzazione dei visti si è dimostrata un valido strumento per rendere concreto il concetto dell’integrazione continentale in senso più ampio rispetto alla piena adesione.

          In termini generali, alcuni ritengono che l’atteggiamento prevalente in Europa verso i Balcani occidentali sia sostanzialmente una violazione degli impegni solennemente assunti negli anni scorsi, e dunque rischi di contraddire la stessa insistenza di Bruxelles sul rispetto della rule of law come principio complessivo su cui fondare rapporti costruttivi e di stretta cooperazione.

          Il caso del Kosovo è tuttora il più complesso in termini di piena integrazione europea. Per il Kosovo l’intero processo di associazione e di cooperazione con la UE ha un significato peculiare, visto che il suo stesso status dipende in misura decisiva dall’attivo sostegno internazionale ed europeo. Nonostante le persistenti difficoltà, è essenziale che l’obiettivo di una maggiore integrazione rimanga ben visibile nella percezione dell’opinione pubblica kosovara e dei Paesi limitrofi, come strumento positivo per incoraggiare i necessari passi avanti sul piano della rule of law e delle libertà fondamentali. Purtroppo, la credibilità europea si è ridotta negli ultimi anni agli occhi della leadership kosovara, oltre che dell’intera regione.

          L’attuale rete di accordi con il Kosovo dimostra, comunque, la capacità della UE di definire varie forme di associazione e collaborazione graduata, ma la posizione assunta dalla Serbia blocca ogni ulteriore progresso, mancando ad oggi il passaggio fondamentale del mutuo riconoscimento. Di fatto, la disputa bilaterale sta prevalendo su qualsiasi quadro multilaterale. In tale contesto, le pressioni europee possono certamente produrre alcuni risultati, ma al momento non sembrano in grado di portare a una svolta decisiva. È peraltro fondamentale che vi sia un costante e pieno coordinamento tra Bruxelles e Washington, al fine di creare per gli attori locali incentivi e disincentivi più efficaci e coerenti sia in termini diplomatici che economici – anche alla luce del ruolo di rassicurazione che la NATO continua a svolgere.

          A fronte dei problemi irrisolti all’interno dell’area balcanica, e delle innegabili carenze dell’azione europea, il dibattito dovrebbe comunque adottare una visione flessibile dell’integrazione: in particolare, i modelli federali e confederali di integrazione non sono necessariamente alternativi, e possono invece risultare due fasi successive di un processo storico complesso e non del tutto lineare. Come è stato notato, la democrazia e la rule of law non sono una commodity che si possa facilmente esportare come prodotto preconfezionato: è piuttosto un processo che richiede tempo e continui aggiustamenti.