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Attività

Ripensare il sistema del welfare: pubblico e privato per una nuova protezione sociale

    • Milano
    • 7 Maggio 2012

          I modelli di welfare europei sono stati messi sotto pressione da importanti cambiamenti demografici, economici e sociali: il progressivo invecchiamento della popolazione, le crescenti aspettative in materia di salute, i maggiori rischi di non autosufficienza, la discontinuità lavorativa e di reddito, le tensioni sul debito pubblico hanno reso progressivamente insostenibili sistemi di assistenza e previdenza ideati in passato. Si tratta di una situazione accelerata dalla crisi che pone due questioni importanti per l’Europa: come ridisegnare un nuovo modello di welfare che sappia assicurare competitività del sistema produttivo? E come garantire la sostenibilità nel lungo periodo dei sistemi di protezione?

          In Italia, mentre il settore pubblico non dispone più di tutte le risorse necessarie a rispondere alla domanda di protezione sociale, anche il tradizionale contributo di reti informali, come la famiglia, mostra segni di debolezza. Per recuperare la sostenibilità finanziaria e sociale nel lungo periodo è necessario, quindi, un ripensamento nella direzione di una maggior sinergia tra pubblico e privato, che garantisca equità ed efficienza. La strada intrapresa deve essere quella di creare, attraverso l’eliminazione delle distorsioni presenti, un sistema se non ottimale, almeno adeguato ai compiti cui il welfare è chiamato nel medio e lungo periodo.

          Le riforme e i cambiamenti che l’Italia sta affrontando vanno inquadrati in un’ottica europea e si inseriscono nel solco del modello multipilastro che sta ridefinendo il ruolo degli Stati nel Vecchio Continente. Tuttavia, se prima della crisi a preoccupare maggiormente era il fattore demografico, con il peggioramento della congiuntura sono sorte altre questioni: il ruolo che il welfare deve avere nella riallocazione dei fattori produttivi; il doppio vincolo di bilancio e di equità in una congiuntura in cui la ripresa non sarà rapida; la necessità di sviluppare un sistema di protezione che sia capace di reagire agli shock cui è sottoposta l’Unione monetaria.

          Eppure, mentre a livello di politiche del lavoro c’è in Europa un consenso generale sulla progressiva convergenza verso la flexsecurity, sembrano ancora mancare linee guida comuni in campo sanitario. Anche senza un quadro di sistema, però, le best practice a cui l’Italia può ispirarsi non mancano: in Francia, ad esempio, funziona il co-payment con un ruolo rilevante di fondi e assicurazioni seppur in un sistema di assistenza fortemente incentrato sul pubblico; l’Olanda, invece, ha implementato una riforma basata su un obbligo di assicurazione privata (che finanzia circa il 50% della spesa), con una sovvenzione pubblica per le persone meno abbienti; in Germania, infine, funziona un sistema assicurativo di lungo termine in cui è possibile scegliere fra copertura pubblica o privata.

          La collaborazione fra pubblico e privato sembra, insomma, la strada migliore non solo per aumentare la sostenibilità della spesa, ma anche per contribuire a una diversificazione del rischio negli investimenti assistenziali e pensionistici. Tuttavia, i modelli misti già presenti in Italia, come le forme di previdenza complementare, non sembrano aver ancora trovato una compiuta affermazione. Esistono, certo, problemi legati a forme di imposizione fiscale che scoraggiano il ricorso a pensioni integrative basate sull’erogazione di una rendita, ma il problema rimane in buona parte legato all’educazione. Cultura e informazione finanziaria dei cittadini potrebbero, infatti, contribuire a formare investitori maturi, attivi e consapevoli dei rischi e benefici associati alle proprie scelte, dando al contempo slancio a nuovi sistemi di protezione sociale di tipo europeo.

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