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Attività

Quali nuovi indicatori di benessere e ricchezza per l’Italia?

    • Roma
    • 21 Gennaio 2010

          Il dibattito sulla necessità di ampliare l’orizzonte degli indicatori economici – in particolare quello sulla misurazione del PIL – ha suscitato, all’estero come in Italia, un’ampia serie di riflessioni. Lo studio Aspen Institute-Fondazione Edison, “L’Italia nella nuova geo-economia del G20”, intende essere un contributo a tale discussione.Dallo studio emerge un’Italia meglio posizionata rispetto alle classifiche tradizionali. Il confronto con le altre economie industrializzate è favorevole in una moltitudine di campi. Negli indicatori di dimensione, sebbene soffra per l’elevato livello del debito pubblico, l’Italia è prima in classifica quale paese con il minor tasso d’indebitamento privato. Vanta il secondo posto nell’indice Economist sulla qualità della vita, come anche per la ricchezza mediana per adulto (a parità di prezzo). Anche gli indicatori di produttività sono complessivamente positivi: l’Italia è al terzo posto dopo Francia e Stati Uniti, e nel campo delle esportazioni, due terzi dei nostri prodotti conquistano il mantello di sector leader nei mercati internazionali. Vi sono naturalmente anche aree che presentano molti ritardi e posizioni non certo lusinghiere, come il decimo posto in termini di investimenti in ricerca e sviluppo e l’ultimo posto in materia di autosufficienza energetica. Ancora molto in basso in classifica sono l’efficienza delle amministrazioni pubbliche, in particolare della giustizia, e la qualità delle infrastrutture. L’Italia presenta ancora quindi delle carenze significative in alcuni settori chiave.

          Il documento non si propone ad ogni modo di dimostrare l’irrilevanza del Prodotto Interno Lordo, né tanto meno di sostituirlo con altre statistiche. Ma è ormai appurato che le analisi economiche basate solo sul PIL sono fuorvianti:una diagnosi economica fatta esclusivamente sul PIL è l’equivalente di un esame del sangue di cui poi si considera soltanto il livello del colesterolo. Basti pensare che, negli anni precedenti alla crisi, il PIL non ha saputo distinguere la crescita sana da quella artificiale, alimentata dalla bolla sub-prime e responsabile del tracollo in atto. Oppure che, nella fase attuale, i paesi che vivono il maggior disagio sociale, come Stati Uniti e Regno Unito, sono anche quelli che, stando al PIL; escono dalla crisi con maggiore facilità.

          Dalla valutazione dell’Italia “oltre il PIL” nascono quindi una serie di riflessioni aggiuntive, sia sui prossimi passi da effettuare nell’utilizzo di indicatori alternativi, sia sulla necessità di definire nuove politiche pubbliche per consolidare i nostri vantaggi e rimediare alle nostre lacune. È vero che il PIL rappresenta un flow di ricchezza, quando un’analisi economica completa vi accompagnerebbe un dato sullo stock, e quindi sullo “stato patrimoniale” di un paese. In aggiunta, il PIL è un indicatore unidirezionale, e non coglie le possibili sperequazioni della ricchezza, o di quelle variabili, economiche e non, che gli sfuggono, come ad esempio il miglioramento della qualità dei servizi pubblici, o il valore immateriale di un investimento, ad esempio in ambito culturale.

          Ciò nonostante, l’utilità dei nuovi parametri di misurazione dipenderà dalla capacità di elaborare paragoni omogenei e intertemporali. Affinché questo avvenga, vi dovrà essere un’ampia convergenza, un dato non affatto scontato: è del tutto possibile che, vista la loro complessità, alcuni degli indicatori potranno essere utilizzati soltanto nei paesi industrializzati. Sarà poi fondamentale che i governi incorporino meccanismi di controllo dei nuovi indicatori nella valutazione ex post delle politiche economiche. Infine, le nuove variabili dovranno concorrere all’elaborazione di un nuovo modello di sviluppo che tenga conto dei rapporti di causalità: un nuovo panorama di indicatori ha senso soltanto se sono visti in termini dinamici.

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