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Attività

Nuovi paradigmi di sviluppo: valori, lavoro, crescita sostenibile

    • Napoli
    • 14 Maggio 2010

          Dopo la crisi un nuovo paradigma di sviluppo: più solido, ancorato a valori condivisi, proiettato sulla costruzione del futuro oltre la gestione ordinaria dell’emergenza. Se ne discuteva, nei mesi scorsi, sull’onda di quel moderato ottimismo che spingeva commentatori ed economisti a dare come imminente, numeri alla mano, la fine della tempesta economica e finanziaria del post-2008. Se ne torna a discutere in queste settimane dopo il tracollo della Grecia, la svalutazione dell’euro, i timori di un «effetto domino» sul resto del Vecchio Continente, in particolare sui Paesi dell’area del Mediterraneo.

          Cambia lo scenario di fondo. Non cambiano i termini del dibattito sulle ragioni intrinseche della crisi e sulla ricerca di uno schema di crescita sostenibile, in grado di restituire un’identità al capitalismo di stampo occidentale colpito duramente dalla recessione mondiale. Ci si chiede, in primo luogo, se e come correggere le distorsioni di quel paradigma di sviluppo e in quali modi dar vita a un nuovo modello di crescita, poggiato «non sulla sabbia ma sulla roccia», e capace di reggere l’urto delle nuove sfide che attendono una comunità internazionale sempre più esposta ad accelerazioni e cambiamenti spesso tumultuosi e imprevedibili. 

          Il richiamo ai valori e l’appello a non trascurare le «lezioni» della crisi assumono così una connotazione che va oltre l’analisi del contesto macroeconomico e che investe, invece, l’essenza stessa del mondo occidentale, le sue radici, la sua capacità di mettersi in discussione per poi «rialzarsi». In questa prospettiva, il dibattito, da meramente tecnico, entra in un terreno culturale in senso lato, che necessità del contributo di quanti – laici o religiosi, umanisti o tecnici – hanno gli strumenti per decodificare le fratture più dolorose della contemporaneità e per proporre soluzioni in grado di arginarle.

          La riflessione cristiana – culminata nel testo dell’Enciclica papale Caritas in veritate – può costituire in tal senso un riferimento di prospettiva funzionale anzitutto a una piena comprensione della realtà. L’appello al rispetto dell’uomo (e soprattutto al rispetto tra gli uomini) trova pertanto una sua declinazione laica nel richiamo a rivedere i criteri produttivi e distributivi dell’economia globale, a porre mano a vecchie e nuove disuguaglianze, a rispondere alle istanze dei più bisognosi. Sempre più condivisa diventa così la tensione a un’idea di progresso diverso, duraturo perché consapevole della finitezza delle risorse a disposizione, sostenibile perché improntato a consumi più razionali e a una conseguente maggiore equità nell’allocazione dei beni e dei servizi.

          In quest’ottica, l’occupazione torna ad acquisire una centralità indiscutibile. Da un punto di vista valoriale l’accento posto sulla dignità del lavoro può e deve fungere da presupposto di un cambiamento dei comportamenti e delle decisioni che intenda davvero investire sui fondamentali della crescita dei cittadini. Una crescita che sia umana e professionale al tempo stesso, fondata sull’etica del fare, sulla soddisfazione di veder riconosciuti i propri sacrifici, sulla fatica intesa come motore di mobilità e avanzamento individuale e collettivo, della persona come della comunità.  Perché è proprio agli interessi della comunità che una classe dirigente realmente responsabile dovrebbe richiamarsi in questa difficile (e ancora ambigua) fase di evoluzione del nostro modello di sviluppo. Per superare la riduttiva antinomia tra Stato e mercato, l’opinione prevalente è che occorra restituire alla politica la funzione che le è costitutiva, anche etimologicamente. Quella, cioè, di fare sintesi degli orientamenti e delle necessità di tutti i soggetti della società e dell’economia, valutando con attenzione e selettività gli interessi di ciascuno, che inevitabilmente possono essere confliggenti, ma tenendo conto sempre dei valori, che devono necessariamente essere condivisi.   

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