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Attività

Marchi: innovazione e libertà di espressione

    • Roma
    • 19 Ottobre 2016

          Da sempre il mondo industriale italiano ha avuto la capacità di coniugare creatività immateriale e produzione materiale. La storia dei marchi – grandi e piccoli – lo dimostra. Racchiudono valori, ma hanno anche una loro valenza specifica. E la loro tutela è fondamentale sia per le aziende che per il consumatore.

          Globalizzazione e avvento di Internet hanno però cambiato molti parametri e pongono nuove sfide. In un mondo globale la differenza sul mercato la fanno le idee e con l’avvento del web il consumatore acquista in un modo molto diverso. Il brand oggi è un bene che rappresenta in sé un valore indipendentemente dal legame con l’azienda: è oggetto di licenze plurime e ha ormai un’identità frammentata. Non c’è unicità nel riferimento identitario. Quello che conta è che il prodotto mantenga le caratteristiche essenziali per le quali è identificato: valore economico, ma anche espressione di bellezza e valore estetico per evocare anche sogno ed emozione. Il 70% del mercato alta gamma è in Europa laddove l’Italia ha il 10% quota mercato. Gli addetti in Europa sono 1.700.000 addetti di cui un terzo in Italia.

          Anche il consumatore costruisce in rete il brand e interagisce. La rivoluzione digitale spiazza il sistema tradizionale di identità del brand oltre ad abbattere costi di transazione e far crescere un bisogno di tutela dei marchi. La reputazione diventa un vero ambito competitivo e spesso si vince più denigrando gli altri che promozionando se stessi.

          Valorizzare il brand nell’era digitale vuol dire anche tenere conto che il consumatore ha diritto all’informazione che è diritto costituzionale. Quello che serve è un bilanciamento tra i diritti di impresa e quelli del cittadino. In un mondo globale il brand è la sintesi di ciò che un’impresa racconta, una summa della sua credibilità. Ma l’azienda deve essere libera di raccontare e poter dare al consumatore gli strumenti per una scelta informata: questo non significa negare evidenze scientifiche su eventuali danni del prodotto, ad esempio per la salute, ma comporta al tempo stesso che i diritti di proprietà intellettuale vanno tutelati insieme alla libertà di impresa. Porre limiti eccessivi può, infatti, portare a una sorta di “esproprio del marchio”.

          Nella nuova realtà digitale la tutela del marchio deve far fronte a nuove sfide. L’uso della rete non induce, infatti, sempre comportamenti corretti, ma contribuisce – se non sanzionato – all’aumento dell’industria del falso. La contraffazione conta un giro d’affari di svariati miliardi: il che pone a rischio, laddove si tratti del settore alimentare ad esempio, la salute stessa del cittadino. La normativa, negli anni, ha fatto notevoli progressi, ma resta una grave inefficienza sulla filiera della pena. Per anni sulla contraffazione si è lavorato – secondo un partecipante – con un’impostazione errata: molto spinto sulla tutela dell’impresa (diritto di proprietà intellettuale) e poco sulla tutela del consumatore. Secondo alcuni partecipanti si deve passare dalla sanzione penale a quella amministrativa, anche perché le denunce penali, essendo troppe, non possono essere evase dai tribunali competenti.

          Al centro sta il problema della responsabilità: i provider sostengono di essere solo dei vettori, come accadde in passato con il trasposto mediante container, che rifiutava responsabilità sul tipo di materiale trasportato.  Ma anche il provider, se si tratta di prodotti immateriali, deve avere la responsabilità di quello che “trasporta” e non essere semplicemente solo un vettore. Come i trasportatori del passato hanno poi accettato di avere tale responsabilità sulle merci materiali.  

          Nella nuova realtà globale e digitale soprattutto le PMI necessitano – si è sottolineato – di maggiore assistenza legale e incentivi fiscali per tutelare il brand che resta strumento di libertà ed etica delle imprese: nell’era della globalizzazione valorizzarlo vuol dire non solo promuovere il prodotto, ma anche essere un’espressione di nuovi modelli storico-culturali.

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