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Attività

Cultura, politica ed economia: l’interesse collettivo dall’Unità d’Italia a oggi

    • Roma
    • 12 Ottobre 2011

          In principio fu il binomio “libertà e indipendenza”: l’ideale risorgimentale per eccellenza, l’anelito di generazioni di aspiranti italiani che – dal Congresso di Vienna al 1861, così come nelle appendici belliche del decennio successivo – dedicarono pensiero e azione, sangue e speranze all’unificazione dell’Italia. Un ideale diventato realtà, una conquista consegnata alla storia. Accanto ad esso in molti – a partire dalla classe dirigente liberale che si pose alla guida del Risorgimento – coltivarono l’aspirazione, altrettanto ambiziosa, alla modernizzazione di un Paese tutto ancora da costruire, arretrato e frammentato. Una modernizzazione realizzata solo parzialmente e che oggi, in occasione delle celebrazioni per il 150° anniversario dell’Unità, è possibile identificare come la “missione da completare”, la priorità da perseguire per rilanciare l’interesse del Paese in un mondo in straordinaria trasformazione.

          A ben vedere si può scorgere, in questo “mandato” da espletare, il filo conduttore di un secolo e mezzo di storia italiana, di un’epoca scandita tutta da reiterati stop and go sulla via della crescita e del benessere della comunità nazionale. Un alternarsi di accelerazioni e fasi di stallo, progressi e involuzioni che comunque, complessivamente, hanno portato l’Italia a diventare ciò che oggi essa è: una delle economie più industrializzate del mondo (la seconda manifattura in Europa e la quarta su scala globale), ma anche, al contempo, un Paese giovane anagraficamente e vecchio demograficamente, un sistema nazionale ufficialmente classificato come a “sviluppo duale”, uno Stato ostaggio di un colossale debito pubblico, una società che da dieci anni non cresce più e che da alcuni decenni pare come ripiegata su se stessa, incapace di sbloccarsi e di uscire dal rischio-declino.

          Pur tra queste contraddizioni, tuttavia, osservando la storia italiana sotto la lente della modernizzazione, risaltano per eccezionalità le fasi di grande crescita e avanzamento: gli anni immediatamente post-unitari – con la scommessa vinta di tenere in piedi un Regno che per millenni era stato frazionato in infiniti localismi, unito solo da un’idea alta di nazione concepita anzitutto dalle élite intellettuali –; la prima industrializzazione di fine Ottocento; l’età giolittiana; il secondo dopoguerra con la ricostruzione e il boom; da ultimo, il rilevante sforzo collettivo per l’ingresso nell’Europa unita. Stagioni certo diversissime tra loro, ma contrassegnate da un tratto senz’altro comune: la “fame” di sviluppo, non solo economico. O meglio: la percezione di avere comunque dinanzi a sé un futuro possibile, di poter contribuire – attraverso la fatica e i sacrifici, la creatività e la fiducia – alla realizzazione di un progetto individuale e collettivo al tempo stesso. 

          Di quel tipo di “fame” e di quell’orizzonte proiettato oltre gli angusti limiti del presente sembra aver bisogno oggi l’Italia per superare le prospettive declinanti che numerosi commentatori le preconizzano. È un bisogno che investe tutti gli ambiti – quello culturale, quello politico, quello economico – e che attiene alla ridefinizione dell’interesse collettivo del Paese. Resta da capire come questi stessi tre ambiti, che evidentemente inquadrano la questione da altrettante angolature, possano convergere in un rinnovato sentimento dell’identità italiana: in un patriottismo nazionale e non nazionalistico, “neocontrattualistico” per qualcuno, comunque costituzionale per la maggioranza degli osservatori, di certo unitario a dispetto dei vecchi e nuovi separatismi che paiono volerne minare le fondamenta.

          Solo così l’interesse collettivo può intendersi compiutamente come “nazionale” e tradursi in una missione che abbia fino in fondo il respiro del bene comune. Quel che appare inevitabile è, in ogni caso, la necessità che l’Italia torni a “prendersi cura di sé” e a capitalizzare le sue risorse, trasformandole in strumento di progresso e crescita economica: il suo patrimonio artistico e culturale, il suo paesaggio, la sua capacità di inventiva e innovazione. Infine, le sue istituzioni che – anche nei momenti di massima conflittualità ideologica, come negli anni Cinquanta – hanno comunque saputo dar prova di volontà di servizio, di responsabilità, di creazione di ricchezza e costruzione di futuro.

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