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Attività

L’industria al centro: tra “digital transformation” e nuovi scenari geo-economici

    • Venezia
    • 13 Ottobre 2017

          Ripresa e ottimismo per la prima volta hanno dominato il dibattito: in un contesto economico che è finalmente tornato a crescere, i partecipanti hanno ragionato più in termini dei punti di forza del sistema italiano e delle opportunità da cogliere che delle sue debolezze e occasioni perdute. Lo scenario internazionale non è favorevole, i venti contrari del protezionismo spirano dall’America di Trump. Eppure il commercio internazionale ancor si muove: l’epoca dei grandi trattati multilaterali sembra giunta al termine come testimonia l’inconcluso Doha Round del WTO, ma i trattati già in essere sembrano sufficienti ad assicurare la tenuta del commercio internazionale, seppur non ai livelli registrati negli anni precedenti la crisi.

          Le nuove mappe dello sviluppo industriale vedono l’Italia in una posizione favorevole, grazie alla ripresa dell’export e alle ottime performance delle imprese italiane; tuttavia non basta che queste ultime abbiano intrapreso la strada della digitalizzazione e dell’Industria 4.0. In un contesto globale di giganti, siano essi nazioni o imprese, l’unica dimensione rilevante per definire politiche commerciali e industriali diventa quella europea. Dinanzi alle sfide di colossi multinazionali nati altrove e in grado di gestire un enorme potere digitale e di mercato, il piccolo è bello sembra sempre meno efficace. E, dopo anni di latitanza, la politica industriale torna alla ribalta.

          I partecipanti si sono anche chiesti se Industry 4.0 non sia la più grande invenzione tedesca di marketing degli ultimi anni – o se non sia più giusto parlare di impresa 4.0 piuttosto che di industria 4.0. Quale potrebbe poi essere il destino dell’interazione uomo-macchina nel contesto della digital factory che porta come sviluppo ultimo l’intelligenza artificiale. Il dialogo uomo-macchina rischia di trasformarsi in una competizione uomo-macchina, poiché l’automazione ha impatti profondi sul mercato del lavoro. In primis, la rivoluzione dei profili richiesti: nella digital factory servono meno operai e più ingegneri. In secondo luogo, la formazione deve stare al passo per non risultare obsoleta. Ci vogliono non solo università, ma anche scuole primarie e secondarie che, oltre a trasmettere conoscenza, siano anche in grado di trasmettere competenze più agili e soft.

          Industry 4.0 non è solo un’invenzione di marketing tedesca, ma un’importante opportunità da cogliere per il Paese. Un Paese che, nel binomio building blocks vs elementi combinatori, sembra eccellere nel secondo aspetto, pur presentando punti di forza anche nel primo. Un Paese in cui tante cose si stanno muovendo nella giusta direzione, ma altrettante rimangono da fare: infrastrutture materiali e immateriali, trasferimento tecnologico tra istituti di ricerca, imprese e università, interazioni tra sistemi territoriali e imprese. All’epoca di Industry 4.0 la questione non è più quanti e quali treni si siano persi o si rischino di perdere, quanto piuttosto quale stazione si è in grado di costruire per vincere la sfida dell’Italia 4.0.

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