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Attività

La responsabilità penale dell’imprenditore. I nuovi orizzonti del rischio di impresa

    • Milano
    • 14 Gennaio 2019

          La responsabilità penale dell’imprenditore, nonché dell’impresa esercitata in forma societaria, ha conosciuto negli ultimi anni un notevole ampliamento, anche nel comparto del reato colposo che ormai prolifera quale modello di incriminazione di significativo impatto punitivo e giudiziale.

          A questo processo è ascrivibile pure la responsabilità da reato degli enti collettivi ex d.lgs. n. 231/2001, che rappresenta la più dirompente novità dell’ultimo ventennio nel campo del diritto penale dell’economia e che a partire dal 2007 ha cominciato ad essere estesa anche a fattispecie colpose, a cominciare da quelle in materia di infortuni sul lavoro.

          Tale attesa innovazione non ha mancato, però, di ingenerare incertezze e qualche distorsione applicativa, tra cui la strisciante sovrapposizione giudiziale tra colpa datoriale e colpa dell’ente. Essa rischia da un lato di svilire il contributo prevenzionistico che può dare la società in quanto tale, piegandola ad uno sterile fatalismo, e dall’altro di tradursi in un ulteriore fattore di erosione delle garanzie penalistiche, posto che – de lege lata – l’accertamento di una colpa individuale è un viatico ineludibile della responsabilità dell’ente. Anche per queste ragioni, il rischio penale a cui in Italia un amministratore o un manager si vede esposto per eventi lesivi colposi non trova similitudini in altri ordinamenti giuridici.

          S’impone dunque una riflessione su come evitare un eccesso di criminalizzazione a titolo di colpa.

          Un primo rimedio consiste nel doveroso recupero delle componenti più salienti dell’imputazione colposa: attenta ricostruzione dello scopo di protezione delle norme preventive, congedo da valutazioni ex post condizionate dalla logica del “senno di poi” (insight bias), valorizzazione della c.d. misura soggettiva della colpa alla luce delle caratteristiche dell’autore e del contesto organizzativo di riferimento. A livello legislativo, inoltre, andrebbero introdotti filtri selettivi in grado di evitare quantomeno la moltiplicazione incontrollata di addebiti colposi anche per inosservanze minime, incommensurabili rispetto all’evento occorso e/o grandemente condizionate dall’ambiente in cui il singolo si trovi incolpevolmente ad operare (si pensi, tra l’altro, al profilo della successione degli amministratori nelle cariche gestionali).

          Problemi diversi si pongono per l’illecito “collettivo” ex d.lgs. n. 231/2001 derivante dalla commissione di reati dolosi: un ambito in cui il fulcro soggettivo della responsabilità penale non può che restare l’individuo e rispetto al quale si pone l’inverso problema di una valorizzazione giudiziale degli sforzi organizzativi compiuti dall’ente, non di rado sviliti sempre a cagione della distorta mentalità del post hoc propter hoc (se il reato si è verificato ciò è prova dell’inidoneità del modello organizzativo).

          Occorre, più in generale, riflettere su alcuni limiti di funzionamento del sistema 231: il nodo della costituzione di parte civile contro l’ente (esclusa dalla giurisprudenza, in ossequio al dato normativo), la distribuzione fortemente disomogenea dei procedimenti sul territorio che si correla anche alla discrezionalità de facto dell’azione punitiva nei confronti dell’ente, l’insufficiente diversificazione dell’impianto normativo in rapporto all’estrema varietà delle organizzazioni destinatarie. Inoltre, l’interesse suscitato dalla nuova strategia statunitense del self-reporting della corporation incentivato attraverso la stipula dei c.d. deferred prosecution agreements esige un approfondimento in merito ai rischi di un suo uso strumentale a scapito dei diritti individuali e alla compatibilità con il sistema processuale penale italiano e – sul piano empirico – con il nostro modello capitalistico, a base azionaria prevalentemente ristretta.

          Sullo sfondo si affacciano inediti strumenti di ingerenza pubblica (giudiziaria o amministrativa) nella gestione delle imprese coinvolte nella realizzazione di reati: oltre alle classiche misure ablative, le nuove forme di controllo o amministrazione societaria.

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