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Attività

L’industria dell’audiovisivo: opportunità di crescita economica e sociale

    • Incontro in modalità digitale
    • 27 Maggio 2020

          Covid-19 ha colpito un settore audiovisivo in un momento di profonda transizione, accelerando diverse tendenze in atto. Il lockdown ha avuto un impatto notevole sulle produzioni e, allo stesso tempo, ha visto crescere la fruizione di contenuti digitali. Dal punto di vista degli operatori del settore, le piattaforme on demand hanno registrato un notevole aumento degli abbonati, mentre i gruppi televisivi si sono dovuti confrontare con un calo della raccolta pubblicitaria e con la sospensione di alcuni aspetti importanti della programmazione, ad iniziare dallo sport.

          Per affrontare queste sfide è necessaria una politica industriale che sappia valorizzare il settore dell’audiovisivo italiano, rendendolo competitivo in un mercato sempre più globale. I pur rilevanti valori della produzione nazionale, infatti, si devono confrontare con gli investimenti di piattaforme che hanno proiezione e presenza mondiali. La qualità, in questo senso, può essere un fattore competitivo, insieme a una strategia “di squadra” fra i diversi player nazionali, finalizzata a potenziare un comparto importante per l’economia italiana. Il settore dell’audiovisivo con un volume d’affari di 14 miliardi si inserisce, infatti, nella più ampia industria della cultura e della creatività che apporta un contributo significativo, pari a 41 miliardi cioè il 3% del PIL, dando lavoro a circa un milione di addetti (4% della forza lavoro).

          Nell’elaborazione di strategie di politica industriale il settore pubblico ha un ruolo centrale. La RAI, infatti, non è solo il principale investitore nelle produzioni audiovisive, ma funge da traino per tutto il comparto, con benefici economici importanti: ogni euro del canone del servizio pubblico produce 1,33 euro di PIL.

          Un’altra leva per salvaguardare il settore audiovisivo italiano è quella normativa. Le aziende si confrontano da un lato con piattaforme on demand che mostrano scarsa trasparenza nei dati di abbonamenti e ricavi, dall’altro con palesi violazioni di copyright da parte di altri operatori tecnologici. Una miglior tutela del diritto d’autore (che genera un valore pari a mezzo miliardo di euro l’anno) può garantire un aumento di risorse considerevole sia per i grandi gruppi sia per i produttori indipendenti.

          La normativa tuttavia non può essere un alibi per evitare il necessario processo di innovazione che le aziende più tradizionali devono portare avanti. Se il contenuto rimane strategico, fondamentale è diventata la distribuzione: solo con piattaforme aggiornate e facilmente fruibili, operatori come la RAI possono difendere il proprio ruolo in un settore in cui le grandi biblioteche on demand sono protagoniste. Ogni prodotto audiovisivo, del resto, rischia di trovarsi a competere non solo con prodotti analoghi, ma anche con tutti i contenuti dell’enorme “mercato dell’attenzione” in cui confluiscono i diversi stimoli e le forme di intrattenimento.

          La competitività dell’audiovisivo nazionale passa, infine, per una narrativa coerente (e possibilmente positiva) del Paese. In un mercato sempre più globalizzato altre nazioni  – prima fra tutte il Regno Unito – sono riuscite a proporre un’immagine chiara e riconoscibile, capace di attrarre produzioni e pubblico internazionali. In questo senso un posizionamento chiaro dell’Italia può rappresentare una leva di politica industriale, rivelandosi anche un volano di crescita per alcuni settori economici e per le aree meno sviluppate del Paese.

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