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Attività

L’industria al centro: le politiche per il rilancio

    • Venezia
    • 8 Ottobre 2021
    • 10 Ottobre 2021

          L’esperienza pandemica e la conseguente evoluzione della congiuntura globale rendono evidente, ancor più che in passato, la necessità che Italia ed Europa creino un contesto attrattivo per gli investimenti industriali – in primo luogo quelli strategici per la crescita e la sicurezza nazionale –  privilegino competenze adeguate nel pubblico e nel privato, attivino una profonda riforma della Pubblica Amministrazione per una maggiore qualità e velocità dei processi decisionali.

          Molti sono i fattori di cambiamento che convergono e modificano radicalmente lo scenario:

          • i settori produttivi e i mercati sono stati fortemente provati dalle conseguenze del lockdown, produzione, lavoro, consumi, supply chain devono ritrovare i livelli e le capacità produttive e recuperare quanto già perso per effetto della precedente crisi economica;
          • in tutto il mondo si è attivata una competizione per la localizzazione dei nuovi investimenti, che sta già modificando i rapporti di forza e il quadro per i prossimi anni e richiede una reazione veloce per non perdere terreno rispetto ai competitors;
          • il peso della geopolitica cresce molto per gli investimenti strategici e per l’approvvigionamento di input produttivi e beni “chiave” per le catene di fornitura globali – ad esempio materie prime, prodotti per la salute, commodities, energia, terre rare, microchip e così via – che saranno determinanti per rafforzare le economie nazionali e per ampliare la propria sfera di influenza su altre aree geografiche.

          Fenomeni molto veloci e intensi, che creano forti discontinuità e si sommano alle molte ondate di innovazione già in corso nell’era precovid, generate da fattori anch’essi globali:

          • progressi scientifici e tecnologici, determinati da ricerca e sviluppo, dalla digitalizzazione e dalla crescente importanza ad esempio di Intelligenza Artificiale, Big Data, Cloud, IoT, Machine Learning, automazione avanzata. Sono peraltro richiesti nuovi paradigmi di sicurezza nazionale e per il capitale delle aziende, si pensi ad esempio alla cybersecurity;
          • evoluzione della domanda di beni, che stabilisce nuovi driver di crescita e nuove priorità -alle quali si può rispondere, con un circolo virtuoso, proprio grazie all’introduzione di nuove tecnologie – derivanti da fattori strutturali quali crescita demografica, invecchiamento della popolazione, personalizzazione delle preferenze e dei consumi, crescente sensibilità a temi quali la transizione ecologica.

          La necessità di interpretare e anticipare le trasformazioni in atto richiede competenze multidisciplinari e una “cultura politecnica” in tutto il percorso formativo (Scuole, Istituti Tecnici Superiori e Università), con la combinazione di discipline STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica) e Umanistiche, al fine di maturare una capacità di lettura integrata dei fenomeni.

          Diviene ancor più fondamentale la collaborazione tra istituzioni, mondo dell’industria, centri di ricerca e università per individuare i nuovi profili professionali, con una grande capacità di visione e costante aggiornamento tra gli stakeholder perché, nell’arco di tempo fisiologicamente necessario per la formazione del capitale umano, l’innovazione tecnologica e il succedersi di nuove “mini-rivoluzioni” potrà cambiare le conoscenze oggi richieste. Di grande utilità potranno essere, ad esempio, cluster tecnologici, digital innovation hub e competence center.

          Disporre delle competenze adeguate allo sviluppo dell’economia è strategico, al pari delle materie prime. Si pensi al gran numero di analisti di big data o esperti di cybersecurity necessari per un’introduzione delle tecnologie digitali efficace e sicura. La mappatura dei mestieri, per settore e territorio, diviene parte della programmazione economica e la politica della formazione è politica industriale.

          Altro fattore determinante per la ripresa economica è rinnovare le competenze e i processi nella Pubblica Amministrazione, perché l’efficienza del quadro regolatorio è un fattore di competitività per velocità di esecuzione, flessibilità e preparedness dei sistemi economici e sociali. Una priorità alla luce del PNRR e del Green New Deal che possono essere grandi occasioni di rilancio, a patto che siano introdotte le giuste riforme per sbloccare le ingenti risorse e rendere cantierabili i progetti che le imprese sono in grado di mettere in campo rapidamente.

          L’Italia ha fattori di debolezza strutturali e una bassa crescita di lungo periodo. Ma il  Paese è anche un giacimento di eccellenze industriali di livello mondiale, secondi in Europa nella manifattura per valore aggiunto e quinti al mondo per surplus con l’estero, nei settori del made in Italy “tradizionale” – le 3 “Effe” del design e della qualità, Fashion, Furniture, Food&Wine –  come in quello a maggiore tecnologia e innovazione – le 3 Emme di Metal products, Machinery and equipment, Medicaments. Valori nel segno della sostenibilità: basti pensare che l’Italia è al terzultimo posto nel G20 per emissioni di CO2 e quarti per indice di sviluppo umano dell’ONU[1].

          Aumentare la crescita economica è, quindi, possibile, con una nuova politica industriale che sappia assicurare attrattività per produzioni strategiche, efficienza delle regole e della PA, sicurezza delle supply chain, mappatura e programmazione delle competenze, transizione ecologica e digitale, sistemi di welfare per gestire i trend demografici e il ricambio generazionale richiesto dall’innovazione.

          Per tutti questi motivi l’organizzazione dei sistemi, oggi più che mai, è un fattore di competitività e richiede un metodo di dialogo costante tra istituzioni e industria, per costruire una “intelligenza collettiva” capace di dotare il Sistema Paese di tutte le informazioni necessarie a trovare soluzioni per gestire processi complessi, multidisciplinari e globali.

          L’Economist ha dedicato una sua recente copertina a “The Shortage Economy”, come principale rischio per la crescita globale. La reazione al Covid ha mostrato i grandi risultati delle sinergie tra scienza&tecnologia, competenze umane&intelligenza artificiale: lo shortage, dunque, non è nella tecnologia, che ha – anzi – enormi potenzialità. E in questa fase non è neanche nelle risorse.

          Ma è necessario evitare shortage organizzativi, nella visione e nelle competenze.

          È un compito fondamentale delle nuove politiche industriali, che solo così potranno garantire le basi per il rilancio dello sviluppo economico e sociale. E una sfida decisiva per l’Italia e per l’Europa.

           


          [1] Fondazione Edison, “G20 and the Italian Economy. Key indicators to be kept in mind”, 2021

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