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Attività

Incontro comune. Dopo la crisi: quale futuro per i nostri figli e nipoti?

    • Venezia
    • 22 Maggio 2009

          La Storia è ricca di periodi di mutamento, e il periodo attuale non fa eccezione. Il venir meno dei paradigmi economici che per decenni hanno assicurato lo sviluppo della società occidentale ha innescato un diffuso sentimento di paura. E i timori si sono tradotti in atteggiamenti di chiusura, istintivi e irrazionali. In campo economico e sociale si è pensato a un nuovo protezionismo (dimenticando quanti danni abbia generato in passato questo atteggiamento) e, nel tentativo di salvaguardare il “proprio” (inteso come convincimenti, ma anche come beni materiali), si è preferito individuare il colpevole all’esterno: nell’“altro”, nel “diverso”, in tutto ciò che non rispondeva al “noto”. Il populismo cui si è aggrappata una popolazione impaurita non ha esitato a toccare le corde della xenofobia, pensando di trovare una soluzione alla crisi nella creazione di barriere, di muri.

          È invece il momento di un ritorno alla Politica intesa nel senso più alto del termine: è l’ora da parte delle istituzioni nazionali e internazionali, così come dei cittadini, di impegnarsi a costruire un bene comune, che superi i singoli interessi personali. È doveroso ribadire una preminenza della Politica sul mercato: il ritorno dello Stato senza una sua onnipotenza. In questa crisi è cambiata l’idea stessa della liceità di un intervento pubblico in economia. La riduzione della crescita economica che probabilmente accompagnerà i prossimi anni imporrà un ruolo attivo del settore pubblico e una maggiore regolamentazione fiscale al fine di combattere le disuguaglianze e riprendere a parlare di valori civili e sociali.

          Un approccio multilaterale alle questioni appare il più indicato. Anche in politica estera, dove il coinvolgimento dei Paesi emergenti è già avvenuto nel decisivo passaggio dal G8 al G20. In un pianeta sempre più interattivo, dove la migrazione è abituale (oltre che sdoganata concettualmente), il progresso sarà gestibile soltanto attraverso tassi di sviluppo veloci nelle nuove economie.

          Il G20 di Londra (che rappresentava il 90% dell’economia del pianeta e il 60% dei suoi abitanti) ha cominciato a parlare a questa diversa realtà e per questo ha dato il senso di un mondo che torna ad essere regolato.

          Prima della crisi economica internazionale, le persone ragionavano su cosa facesse lo Stato per loro. Adesso l’approccio è variato: si pensa a cosa ciascuno possa fare per gli altri. L’uomo torna a pensare a sé come a un individuo non più legato al contingente ma collocato nel tempo: ricomincia a agire per il futuro della comunità.

          All’interno di questo quadro, lo Stato italiano non può esimersi dal sostenere l’economia nazionale, con chiare scelte preventive. A partire dalla valorizzazione delle specificità. L’accento deve essere posto ancora una volta su settori come la meccanica, la moda, l’alimentare, senza dimenticare i comparti più innovativi quali le bioscienze o le tecnologie utili alla produzione energetica (è iniziato il ciclo delle Energy technologies) o alla tutela ambientale. Serve una valorizzazione del ruolo delle scuole, un assiduo impegno da parte degli imprenditori, ma anche una chiara direzione da parte dello Stato.  Al fine di dare vita a una società ottimista e non crearne una basata sulle paure.

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