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Attività

Il settore pubblico da vincolo a risorsa: come recuperare efficienza ed efficacia

    Conversazione tra Carlo Cottarelli e Enrico Giovannini
    • Roma
    • 27 Maggio 2014

          Nell’immediato dopoguerra l’Italia sceglie di essere uno stato leggero, dal punto di vista della politica economica, e tale rimane per i primi decenni. A partire dagli anni ’70, tuttavia, si assiste alla nascita di uno stato parallelo  che inaugura la stagione della democrazia del debito, caratterizzata dal proliferare della regolamentazione, dall’appesantirsi della burocrazia, dall’esplosione della spesa e con essa del debito pubblico, in una degenerazione antropologica e culturale, prima ancora che economica. Oggi la spesa pubblica primaria italiana, al netto cioè degli interessi sul debito, si aggira intorno al 43% del PIL. E il settore pubblico, anziché rappresentare una risorsa, è sempre più sinonimo di vincolo e ostacolo alla crescita. È necessario, dunque, recuperare efficacia ed efficienza. Il processo di revisione della spesa può contribuire al raggiungimento di questo obiettivo.

          Esistono due diversi modi per farla. Da un lato, adottando un approccio sistematico e strutturale in cui gli stanziamenti di spesa siano chiaramente e formalmente legati a obiettivi di performance (secondo i principi del performance budgeting). Puntando anche alla  responsabilizzazione dei dirigenti pubblici rispetto al conseguimento degli stessi e sulla base di un sistema di indicatori di risultato per valutare l’efficacia dei programmi di spesa. Dall’altro, mediante un approccio ad hoc che si occupi di tagliare la spesa laddove si annidino sprechi e abusi o, più semplicemente, spese non prioritarie per la collettività. Questo round di spending review intrapreso nell’ottobre del 2013 dal Governo italiano sotto la responsabilità di un Commissario Straordinario segue il secondo approccio, in assenza di una procedura, formale e sostanziale, di performance budgeting. Ma il Commissario sarà anche impegnato, a partire dalla fine del 2014, nell’introduzione del performance budgeting in Italia, rendendo l’attività di revisione della spesa periodica e strutturale, puntando alla ridefinizione dei servizi pubblici in un’ottica strategica e mettendo in relazione i costi con il valore prodotto per la collettività. Il tutto attraverso la responsabilizzazione della pubblica amministrazione e del suo personale nonché la modifica di procedure e controlli, anche sulla scia delle tante pratiche virtuose consolidate nel settore privato. Le prime raccomandazioni del Commissario si sono già trasformate in norme attraverso il DL 66 del 2014. L’approccio utilizzato, ovvero destinare i risparmi di spesa a tagli di imposta, consente all’operazione di essere neutra dal punto di vista dell’impatto macroeconomico di breve periodo, fermi restando gli effetti positivi di lungo termine dovuti agli aumenti di competitività e produttività.

          Nonostante questa implementazione normativa, siamo però ancora all’inizio del guado. Dei tre grandi ambiti in cui è necessario agire, il DL 66 si occupa, infatti, prevalentemente degli acquisiti di beni e servizi. Si attende la riforma della pubblica amministrazione. La spesa sociale è invece un’area in cui la politica deve ancora decidere come assegnare le priorità. Gli ostacoli sono ancora molti. Ogni processo di revisione della spesa implica infatti, almeno nel breve periodo, che qualcuno perda interessi e privilegi. Costoro  inevitabilmente opporranno delle resistenze. Unico arbitro in questa dinamica di interessi che si fronteggiano è la politica. Non esiste, infatti, un’attività più politica del processo di revisione della spesa pubblica. Nel lungo termine, se viene centrato l’obiettivo di rendere l’amministrazione pubblica una macchina efficiente e moderna al servizio di cittadini e imprese, si libera il potenziale di crescita da vincoli e sprechi, contribuendo così all’aumento del benessere collettivo di tutto il paese.