Vai al contenuto
Attività

Il brand Italia per rafforzare l’identità e la competitività del Paese

    • Palermo
    • 24 Ottobre 2008

          Ogni Paese possiede un’immagine ben definita presso l’opinione pubblica internazionale. Tale impressione, spesso stereotipica, deriva da secoli di storia, dalla natura del territorio, dai comportamenti dei cittadini e perfino dal caso, premiando aspetti secondari che, semplicemente, hanno avuto più fortuna nell’immaginario collettivo straniero.

          L’Italia ha goduto sempre di una spiccata capacità evocativa, con un patrimonio artistico da primato e una cultura che a tutt’oggi rappresenta la principale ragione della diffusione globale della lingua nazionale. Realtà come Firenze, Roma, Venezia detengono una fama indipendente, e persino superiore, a quella del Paese. Presso l’opinione pubblica globale, i brand locali sono più forti – e più attrattivi – del marchio Italia. Una situazione che non trova corrispondenze in nessun altro luogo al mondo (esclusi forse i casi di Parigi e New York).

          Il nome Italia all’estero ha infatti fin troppe valenze e rischia di essere fuorviante per uno straniero che non ha né tempo né strumenti per analizzarne la complessità. Ciò comporta un grave danno, poiché un giudizio chiaro e favorevole su una Nazione contribuisce all’aumento degli investimenti stranieri e rende più facile stringere alleanze economiche, finanziarie e intellettuali per i suoi cittadini. Le autorità nazionali devono pertanto adottare un approccio maggiormente professionale nel gestire il brand (multiprodotto) Italia: per ottenere un’immagine forte e affidabile bisogna offrire un messaggio definito e unitario. Viceversa l’Italia rischia di essere un Paese bello, decorativo e inutile.

          Un prodotto di qualità è condizione necessaria ma non sufficiente per il successo internazionale ed è evidente, al momento, come la mancanza di professionalità adeguate costringa al nanismo le eccellenze nazionali, privandole di una caratteristica fondamentale: la “ripetibilità” su vasta scala, da cui deriva anche l’assenza dei prodotti italiani dalle catene di distribuzione straniere. I nuovi viaggiatori ricercano identità, tipicità, differenze e appartenenza. Questi concetti, noti dal punto di vista teorico quando inapplicati nella quotidianità, devono diventare fari di una diversa promozione territoriale, innanzitutto nazionale e, a cascata, locale. Una politica guidata da una riconoscibile e autorevole “direzione d’orchestra” che sappia pianificare una strategia, stabilire gli obiettivi e organizzare le risorse. E che si dimostri in grado di imporre regole comuni. L’area di Torino ha vissuto qualcosa di simile in occasione delle Olimpiadi invernali. Il risultato? Un aumento del 17,5% dei visitatori in una città che all’estero era solo sinonimo di industria pesante. Si impone una diversa gestione nel pubblico – con una comunicazione più efficace tra i vari enti (Enit e Ice su tutti) – e un ingresso dei privati – con soglie reali di defiscalizzazione – almeno nella gestione.

          Il patrimonio culturale, artistico e paesaggistico di cui gli italiani sono eredi e custodi deve infatti generare risorse, perché il Paese non appaia come una famiglia ricca che vive di rendita non valorizzando – ma dissipando – la propria fortuna. Come sembra fare Venezia, dove i turisti si sono ridotti, in un anno, del 23%; quasi uno su quattro.

            Contenuti correlati
          Strillo: ASL – Il brand Italia per rafforzare l’identità e la competitività del Paese