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Attività

The Eurozone’s path: the Union between reality and aspiration

    • Berlino
    • 28 Settembre 2012

          La crisi finanziaria in corso ha reso evidenti gli stretti legami tra le politiche monetarie, il settore bancario, i debiti sovrani, e alcuni forti squilibri nell’ambito dell’eurozona. Data la sua intensità e la sua durata, la crisi ha messo in discussione la stessa struttura politica dell’Unione europea oltre ai suoi assetti istituzionali, che vanno modificati applicando con più rigore le regole esistenti, ma anche attribuendo nuove responsabilità e nuovi strumenti. Se questa constatazione è oggi ampiamente condivisa, vi sono opinioni diverse sul grado di innovazione da introdurre nella governance economia e finanziaria, come anche sulla tempistica e la sequenza degli interventi. Un problema centrale sta nel fatto che le autorità e gli attori finanziari devono affrontare sia sfide immediate di grande urgenza (a partire dal rifinanziamento del debito pubblico e dalla ricapitalizzazione di vari istituti bancari) sia esigenze di medio e lungo periodo perché non si ripeta la situazione attuale. Inoltre, anche le ricette su cui si registra un vasto consenso richiedono una forte volontà politica e l’assunzione di rischi da parte dei governi nazionali per realizzare misure spesso impopolari: il ritardo nell’introduzione di misure necessarie ha in effetti aumentato i costi dell’aggiustamento che tutti stanno pagando – sebbene non in modo equamente distribuito.

          Qualunque assetto istituzionale sostenibile deve poggiare comunque su una maggiore fiducia reciproca tra i governi, per rendere possibile una più efficace condivisione delle responsabilità e degli oneri. In tale ottica, è importante tenere in debito conto le ripercussioni sociali delle politiche adottate, visto che l’erosione del consenso politico rischia in ultima analisi di paralizzare ogni sforzo di riforma. Un’altra tendenza pericolosa è quella per cui il dibattito nei singoli paesi identifica negli altri membri dell’eurozona (più ancora che nelle autorità di Bruxelles) i “colpevoli” dei sacrifici nell’attuale clima di austerità. Un parziale rimedio consiste nel limitare l’elemento punitivo che sembra insito nell’accettazione dei programmi di sostegno alle economie in maggiore difficoltà.

          Un quesito cruciale è relativo al rapporto tra integrazione finanziaria – che ha raggiunto livelli senza precedenti nell’ultimo decennio – e stabilità: il settore finanziario sta ora diventando meno integrato per effetto della crisi, ma i fenomeni di frammentazione non favoriscono certo la ripresa, limitando piuttosto i flussi di credito. Paradossalmente, la relativa chiusura delle economie nazionali tende ad accrescere ulteriormente gli squilibri preesistenti, come dimostra l’andamento degli spread che di fatto non riflette i “fondamentali” economici.

          La crisi del sistema bancario nell’eurozona impone un profondo ripensamento delle regole che governano questo settore vitale per tutta l’economia. La strada intrapresa negli ultimi mesi è quella di una progressiva marcia verso l’unione bancaria, ma restano punti controversi sui tempi e i modi. Un problema è relativo alla supervisione : alcuni ritengono che la Banca centrale europea debba svolgere questo ruolo (assieme alla sua gestione della politica monetaria) mentre altri ritengono che non sia opportuno sommare tali due compiti. Una seconda questione aperta riguarda l’ambito di applicazione delle nuove regole: soltanto alcuni attori finanziari hanno un rilievo direttamente “sistemico”, ma vi sono molti intrecci con istituti di dimensioni inferiori che – come abbiamo sperimentato negli ultimi anni – possono comunque creare degli effetti-contagio.

          In ogni caso, una vera unione bancaria richiede anche passi decisivi nei settori del bilancio e del fisco, e dunque si deve inserire in un quadro dinamico di più stretta integrazione complessiva.

          L’evoluzione dell’eurozona non può naturalmente essere analizzata in modo isolato rispetto ai grandi trend globali, a cominciare dall’economia americana come fattore potenziale di crescita ma anche di massicci squilibri. Basti pensare al ruolo della Federal Reserve come stimolo a una possibile ripresa, pur con tutti i limiti negli effetti delle recenti politiche espansive: si tratta comunque di un elemento esterno che spinge la BCE e i governi europei a tentare nuove strade per riavviare la crescita e aumentare la competitività. Ed è proprio in chiave competitiva che vengono lette le tendenze della produttività – complessivamente non molto dissimili tra le due sponde dell’Atlantico a dispetto delle differenze nei rispettivi mercati del lavoro e nella struttura degli Stati Uniti e della UE come aree economiche. Rimane il dato di fondo della maggiore agilità dell’economia americana nel reagire alle crisi – oggi come in passato – anche se si dovrà valutare con attenzione l’impatto del grave problema fiscale che l’America deve ormai affrontare mentre cerca di ridurre un tasso di disoccupazione insolitamente alto in termini storici.

          • Wolfgang Schäuble, Vittorio Grilli e Giulio Tremonti
          • Enzo Moavero Milanesi e Marta Dassù
          • Katinka Barysch, Michel Martone e Angelo Maria Petroni
          • Steven Erlanger
          • Martin Wiesmann e Lucrezia Reichlin
          • Martin Feldstein e Katinka Barysch
          • Elio Menzione
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