Vai al contenuto
Attività

Cos’è la crescita? Vecchi e nuovi paradigmi

    • Milano
    • 17 Gennaio 2011

          C’era una volta il PIL. O meglio c’era una volta “solo” il PIL, inteso come indicatore aggregato utilizzato per misurare la crescita economica di un Paese, quantificando il flusso dei beni e dei servizi destinati ad usi finali e prodotti in un determinato lasso di tempo su un territorio circoscritto. Con la grande crisi che ha investito l’economia globale a partire dal 2008, il dibattito pubblico internazionale sulla ricerca di nuovi paradigmi di misurazione della crescita, benché già in corso da qualche anno in ambienti specialistici, ha acquisito una centralità senza precedenti, contribuendo a focalizzare l’attenzione su altri parametri poco adusi alla teoria economica tradizionale oppure considerati non determinanti per testare la stabilità macroeconomica di un Paese, come la ricchezza delle famiglie, il debito privato, l’andamento delle dinamiche occupazionali.

          In alcuni Paesi europei il dibattito è stato scandito dal tentativo di mettere nero su bianco modelli in grado di ponderare la ricchezza delle nazioni, soppesando variabili non strettamente, o non esclusivamente, correlate ai flussi di produzione. In Francia, com’è noto, questo tentativo ha raggiunto il suo acme con la presentazione del Rapporto della Commissione Stiglitz-Sen-Fitoussi teso a enfatizzare la primazia della “misura del benessere della popolazione” rispetto alla mera produzione economica. Quale che sia la reale applicabilità, specie su base comparata, di questo o quell’indicatore prescelto, non v’è dubbio che, oggi più che mai, a risaltare sia anzitutto l’inadeguatezza degli strumenti contabili a disposizione dei governi per condurre l’analisi dello stato di salute economica del proprio Paese e, di conseguenza, per formulare diagnosi il più possibile opportune e selettive. La crisi finanziaria ha acuito la percezione di questa inadeguatezza, senza però tradursi in una presa di consapevolezza diffusa sull’inattendibilità di una descrizione delle “lezioni della crisi” unicamente in base alle dinamiche del prodotto interno lordo. Più semplicemente, analizzare gli anni ante-crisi e quelli post-crisi solo e soltanto in funzione delle oscillazioni del PIL può rischiare, secondo molti osservatori, di avallare una lettura della realtà parziale, se non addirittura fuorviante.

          La parabola degli Stati Uniti è esemplare. Per anni l’economia USA, in termini di PIL e reddito disponibile delle famiglie, è cresciuta a ritmi incalzanti, drogata però da un accumulo di debito privato e da due “bolle finanziarie” straordinarie, l’ultima delle quali senza corrispettivi nella storia contemporanea dell’Occidente. Contestualmente, la crescita “drogata” ha alimentato un tasso di occupazione che, col senno di poi, potremmo definire comunque “fittizio”, perché legato in particolare al boom immobiliare. Con lo scoppio della “seconda bolla” finanziaria, il castello di carta della crescita americana è crollato, portando giù con sé anche il reddito delle famiglie. Nel post crisi il PIL è tornato gradualmente a muoversi, questa volta attraverso un ricorso all’indebitamento pubblico, ma le famiglie, nonostante le montagne russe del prodotto interno lordo, sono oggi più povere rispetto a sette anni fa. Esempi di questo tenore potrebbero farsi per altri Paesi encomiati per dinamismo negli anni scorsi e poi repentinamente messi in ginocchio dalla crisi. Sul versante opposto, economie come quella tedesca e italiana, più statiche nel decennio precedente, hanno dimostrato di reggere meglio l’urto della crisi, grazie a una grande riserva di risparmio privato o, nel caso soprattutto della Germania, a buone performance dell’export. Resta il fatto che ad oggi il mix tra ricchezza delle famiglie e disoccupazione disegna per Italia e Germania un quadro ben più rassicurante di quanto una valutazione basata esclusivamente sul PIL potrebbe lasciar supporre. Un unicum è, invece. il caso francese nel quale, complici anche politiche demografiche lungimiranti ed efficaci, negli ultimi anni si sono registrati parallelamente un aumento del reddito disponibile e un incremento dello stock di ricchezza delle famiglie.

          Questa rapida carrellata di esempi, per quanto incompleta, serve tuttavia a ribadire la complessità di una questione che di fatto investe tutte le economie “mature” del dopo-crisi, per alcune delle quali peraltro si prospettano, oltre che il rischio di una jobless recovery, anche la previsione di una dinamica del PIL piuttosto contenuta e la necessità di mettere mano a politiche redistributive in condizioni di bassa crescita e contenimento del debito pubblico.

            Contenuti correlati
            Strillo: Cos’è la crescita? Vecchi e nuovi paradigmi