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Attività

Le liberalizzazioni: coniugare necessità e virtù

    • Roma
    • 11 Aprile 2012

          È una lunga storia: inizia negli anni Novanta e sconfina nella strettissima attualità. È il cammino – contrastato e sincopato – delle liberalizzazioni in Italia. Se ne discute da oltre due decenni, si legifera a intermittenza in materia, ci si confronta sugli effetti e sulle implicazioni specifiche dei singoli provvedimenti. Eppure, dal perseguimento dell’obiettivo di una piena concorrenza del mercato il sistema italiano sembra essere ancora piuttosto lontano. Almeno se con “liberalizzazione” s’intende genericamente l’apertura della società alla possibilità che tutti gli attori si mettano in gioco e abbiano l’opportunità di competere ad armi pari con gli altri operatori, in ogni settore della vita economica del Paese.

          Inquadrata da questa angolatura, la vicenda italiana delle liberalizzazioni riflette la contestuale parabola delle politiche per la concorrenza in Europa. All’interno di questa evoluzione è possibile rintracciare alcuni punti salienti, a partire dalla dinamica temporale. Quello delle liberalizzazioni è infatti un processo a tappe, tuttora in corso. Il primo atto si è consumato, come detto, a partire dagli anni Novanta grazie alla forte spinta per la realizzazione del mercato unico venuta principalmente dalle istituzioni comunitarie. Per l’Italia tale impulso si è tradotto, nel complesso, in un gioco a somma positiva, incidendo sulla rottura di alcuni monopoli e sull’apertura di settori comunque strategici per l’economia nazionale: dall’energia alle telecomunicazioni, dai servizi finanziari al trasporto aereo. Esauritasi progressivamente questa pulsione liberalizzatrice – giudicata da taluni financo eccessiva e “furiosa” nella sua trasposizione concreta – il percorso riformatore in Italia ha perso di smalto, riflettendo anche in questo caso le dinamiche in atto a Bruxelles e con esse l’affievolimento delle istanze legate a una piena europeizzazione delle politiche per la concorrenza.

          Oggi infine – nel “terzo tempo” di questa storia – ogni intervento  in materia non può che essere analizzato nella cornice della crisi internazionale ed europea e nella trasformazione di scenario legata alla globalizzazione. Ciò significa, soprattutto, che le liberalizzazioni rischiano di finire nel calderone delle ristrutturazioni economiche richieste agli Stati per uscire dalla crisi dei debiti sovrani e dalla recessione. Da una dimensione comunitaria l’impressione, dunque, è che si stia passando a una dimensione intergovernativa, quasi che le economie dell’Unione fossero in competizione l’una con l’altra nell’aprire i rispettivi mercati per recuperare competitività e non indirizzate a una piena integrazione del mercato comune, peraltro in settori che ormai toccano il cuore stesso della sovranità economica degli Stati membri.

          Quale che sia il giudizio su questa deriva, è evidente che al mutamento di prospettiva – non pienamente decodificabile, beninteso, se non alla luce della crisi (anche politica) dell’Europa – si accompagna ovunque una riflessione generalizzata sul nesso tra crescita e liberalizzazioni. Si tratta di un confronto che, nel dibattito pubblico italiano, pare risentire di una confusione terminologica tra liberalizzazioni stesse, concorrenza e regolazione dei mercati e che soprattutto – e ciò emerge, in particolare, nell’esame circostanziato dei singoli casi nazionali (a partire da Francia e Germania) –  fatica a liberarsi di alcuni luoghi comuni, come quello secondo cui all’aumento dei “competitori” corrisponda automaticamente una diminuzione dei costi e un vantaggio per i consumatori.

          Al di là, tuttavia, di queste e altre difficoltà interpretative, di certo c’è che oggi più che mai, soprattutto in Italia, la partita delle liberalizzazioni si lega a doppio filo a quella più complessiva delle politica economica e industriale del Paese, con tutto ciò che essa comporta in termini di rapporto tra Stato e mercato e tra politica ed economia, di apertura e attrattività del sistema nazionale, di programmazione e selezione delle scelte appannaggio della sfera dell’intervento pubblico, di governance, regolazione e buon funzionamento del mercato stesso, di efficientamento e sburocratizzazione delle pubbliche amministrazioni, di certezza normativa.

          In quest’ottica – e sullo sfondo di un non più differibile ripensamento del paradigma di sviluppo fin qui applicato – va da sé che innescare su nuove basi il percorso delle liberalizzazioni in Italia implica la necessità di adottare un approccio meno estemporaneo o dettato dall’emergenza e più selettivo e mirato, settore per settore. Evitando la tentazione di leggi omnibus (che rischiano di trasformarsi in interventi-manifesto se non monitorate attentamente nella loro attuazione) e soprattutto focalizzando la questione non come a sé stante, ma come tassello di un mosaico più composito che ha a che vedere con la mission generale del Paese. Un Paese che ha l’imperativo categorico di tornare a crescere per superare il rischio-declino che in molti, tuttora, continuano a preconizzargli.