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Attività

Le imprese esportatrici: azioni per il rilancio e nuove opportunità

    • Milano
    • 6 Giugno 2011

          Le esportazioni saranno il motore della crescita nei prossimi anni per tutti i paesi europei e, in modo particolare, per l’Italia. Il rapido sviluppo delle economie emergenti richiama, infatti, crescenti importazioni non solo di beni strumentali, ma anche di beni di consumo. È necessario, quindi, che un’economia, tradizionalmente orientata all’export come quella italiana, sappia cogliere le opportunità che si aprono sui mercati mondiali.

          In questo contesto, rispetto alla crescita del peso degli emergenti nel commercio internazionale, l’Italia ha difeso bene le proprie quote di mercato, realizzando un riposizionamento delle esportazioni su prodotti a più alta qualità e a maggiore capacità innovativa. Tuttavia, in uno scenario di crescente competizione –  che vede il paese secondo in Europa solo alla Germania, ma con una presenza maggiore su tutti i nuovi mercati, soprattutto in Africa – l’Italia deve fare un bilancio dei propri punti di forza e delle proprie debolezze per formulare strategie di sostegno all’export.

          Per quanto riguarda i punti di forza, il paese può contare su una elevata capacità di personalizzare l’offerta, su una notevole flessibilità e su una considerevole abilità nell’aprire nuove relazioni commerciali, oltre che sulla ricchezza della gamma produttiva. Questo si accompagna alla capacità di preservare le filiere produttive, a un’elevata vocazione manifatturiera e un sistema bancario solido e internazionalizzato. Esistono però anche alcuni punti critici che vanno risolti, lavorando su tre leve fondamentali per il rilancio: innovazione, internazionalizzazione e crescita dimensionale.

          La ridotta dimensione delle aziende italiane si riflette, infatti, non solo in una scarsa patrimonializzazione, ma anche nella difficoltà di realizzare un’internazionalizzazione produttiva e commerciale. Per affrontare il problema dimensionale esistono strategie, come le reti di impresa, che permettono di accrescere la competitività, tuttavia è necessario favorire anche il ricorso al capitale di rischio e sostenere fiscalmente operazioni di fusione e acquisizione. Altri incentivi dovrebbero venire, poi, dal lato normativo: non si tratta solo di rimuovere gli ostacoli che ad oggi rendono poco attraente la quotazione in Borsa di aziende di medie dimensioni, ma anche di modificare progressivamente le norme che tuttora avvantaggiano il mantenimento della piccola dimensione.

          Un altro punto su cui riflettere sono i processi innovativi che spesso, nelle piccole e medie imprese italiane, risultano poco sistematici e continuativi. Per sfruttare le opportunità dell’innovazione non basta, però, solo aumentare gli investimenti in ricerca e sviluppo, ma è anche necessario trovare meccanismi di incentivazione fiscale strutturale che sostengano le attività di ricerca svolte dalle aziende. Politiche simili permetterebbero di arginare la fuga di imprese verso altri Paesi e migliorerebbero l’attrattività dell’Italia, consentendole di attirare capitale umano qualificato. 

          Per favorire l’internazionalizzazione, inoltre, sono necessari sforzi di sistema che prendano spunto dalle migliori esperienze internazionali. Un aspetto importante riguarda il supporto finanziario alle aziende che vanno all’estero, campo in cui negli ultimi anni si sono moltiplicati gli sforzi di strutture sia pubbliche sia private; a questi strumenti si deve affiancare uno sforzo programmatico in campo di politica industriale che identifichi i settori e le aree prioritarie per l’export italiano. Infine, sarebbe utile una ristrutturazione complessiva del sistema di supporto alle attività estere delle imprese, che, accanto a una maggior efficienza degli enti governativi, coinvolga anche attori fondamentali  alla promozione del made in Italy come il sistema fieristico.