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Attività

La cultura politecnica per costruire il futuro: conoscenza, cultura del cambiamento, responsabilità

    • Milano
    • 18 Marzo 2013

          Cinque anni di crisi, innescati dal crollo del settore finanziario e continuamente condizionati dai problemi della finanza (pubblica e privata), costringono a ripensare il ruolo dell’industria, chiamata a diventare nuovamente un motore dello sviluppo. L’esigenza di una differente visione economica – sintesi di valori materiali e immateriali indispensabili ad innescare una nuova crescita sostenibile – riporta infatti al centro il sistema produttivo. Un cambio di paradigma che ha bisogno anche di basi culturali: fare impresa infatti, significa fare non solo cultura d’impresa, ma cultura tout court, assicurando continuità alla tradizione tipicamente italiana della “cultura politecnica”, le cui due anime – umanistica e scientifica – non sono contrapposte ma complementari.

          Questo tipo di cultura, del resto è ben radicata nel patrimonio italiano, in una sintesi originale che ripercorre i grandi pensatori del Paese da Leonardo a Galileo, da Cattaneo a Fermi e Natta, dagli “ingegneri poeti” come Leonardo Sinisgalli ai pittori che hanno raffigurato, come Renato Guttuso “La ricerca scientifica”. E proprio la cultura politecnica può produrre una classe dirigente capace di far fronte all’ambiguità dei problemi del mondo reale. Un’abilità, quella di reagire con creatività e flessibilità al lavoro, che viene spesso riconosciuta a livello internazionale ai tanti professionisti usciti dai politecnici italiani e che può essere una delle basi per il rilancio dell’industria in Italia.

          Al centro della riconsiderazione dell’economia, la cultura industriale deve portare a vedere la manifattura (in cui l’Italia in Europa è seconda solo alla Germania) non come comparto economico marginale in una società di servizi, quanto piuttosto come sistema di valori: innovazione, concretezza, forza delle relazioni, importanza del capitale umano e del capitale sociale, selezione per merito possono andare di pari passo con creatività, rapporto con le nuove tecnologie e i nuovi comportamenti, sintesi tra cultura del progetto e cultura del prodotto.

          L’industria, per i valori di cui è portatrice, capace così di diventare così il cardine di un nuovo sviluppo equilibrato dopo anni condizionati dai tempi brevi e dai profitti immediati della finanza; uno sviluppo attorno cui aggregare e far ruotare i servizi (dalla finanza d’impresa alla logistica, dalle reti lunghe commerciali alle ricche supply chain di fornitori, di prodotti, idee, attività). Un’impresa industriale che faccia investimenti e crei uno sviluppo armonioso con l’ambiente può ridare orgoglio identitario, fiducia e attrattività per le nuove generazioni. E le figure professionali di ingegneri ricercatori, tecnici e lavoratori specializzati nell’hi-tech possono essere i protagonisti di un nuovo racconto dell’industria e del lavoro.

          Per gettare le basi di questo sviluppo bisogna valorizzare le potenzialità esistenti nel Paese: le produzioni industriali italiane di eccellenza sono un connubio alla frontiera fra tecnologia e arte. E questa capacità di adattamento delle soluzioni standard alle esigenze del singolo utilizzatore – forse uno dei lasciti maggiori della cultura politecnica che permea il sistema industriale italiano – deve e può diventare un elemento di attrazione per talenti dall’estero. Solo riscoprendo quella ricetta di successo alla base del made in Italy – e cioè l’unione i valori umanistici e i saperi tecnici – si può fare innovazione rilanciando la vocazione industriale italiana.