Vai al contenuto
Attività

La crisi globale: dal mercato ai valori. L’Europa e l’Italia

    • Roma
    • 11 Giugno 2008

          Globalizzazione, erosione dei requisiti classici della sovranità nazionale, rivoluzione tecnologica, finanziarizzazione dell’economia. Il contesto è al centro del dibattito pubblico ormai da diversi anni, in Italia e all’estero. In che modo arginare lo smottamento generato da fenomeni globali dalla portata in larga misura imprevista? Come fronteggiare i rischi e sfruttare le opportunità di una trasformazione impetuosa? Quali contromisure eventualmente adottare?A questi interrogativi si sono fornite nel tempo risposte, proposte, teorie via via convergenti verso un unico binario: quello delle regole. Regole per disciplinare un mercato dei capitali e delle merci talvolta in balia di se stesso. Regole per riequilibrare i rapporti tra i diversi fattori di produzione dell’economia mondale. Regole per conservare vecchie tutele o garantire nuovi diritti. Eppure, dall’equazione – lineare ancorché approssimativa – secondo cui, per reagire agli effetti della globalizzazione, occorreva un sistema di regole certo e valido per tutti recentemente il dibattito sembra aver cambiato direzione e forse fatto un salto di qualità. Così la dicotomia ormai tradizionale “apertura versus protezione” pare aver perso mordente, e non solo sul piano dialettico. Si tratta, infatti, di un paradigma che con tutta evidenza non riesce più a cogliere le contraddizioni di una rivoluzione che da eminentemente economica si è fatta prima geopolitica e poi culturale e identitaria. Con le merci e i capitali si spostano anche le persone, le idee, le aspettative, le paure. Lo si immaginava anche prima, ma oggi è questo che spiazza. L’impatto è duplice: da un lato, ovunque nel mondo avanzato – in particolare nella “vecchia Europa” – si registra una sensazione generale di spaesamento. Venuta meno la forza aggregante (e tutto sommato rassicurante) delle ideologie e del sistema dei partiti di tipo tradizionale, si ricercano nuove “agenzie” di riferimento, più solide nell’impianto ma più flessibili nella metodologia di azione, in grado di venir dietro alle accelerazioni del nuovo contesto mondiale. Dall’altro lato, dinanzi a questo disorientamento, alle proposte inedite si preferiscono soluzioni già collaudate. Di qui il ritorno a sistemi valoriali spesso accantonati da decenni sotto l’urto di una crescente integrazione. Di qui il richiamo sempre più diffuso e autorevole alle radici, all’identità, all’appartenenza religiosa. Richiamo oggi salutato da taluni come unico ancoraggio alle istanze reali di una società priva di punti di riferimento. Richiamo che suscita in altri perplessità, specie in un’ottica di compatibilità con le esigenze di modernizzazione dell’economia e della società nel suo complesso. In questo quadro, emerge la tesi di un ritorno alle radici giudaico-cristiane inteso come percorso che l’Europa può compiere per riappropriarsi del suo ruolo nella storia. Non solo un brillante pungolo al dibattito, ma anche un espediente dialettico per spostare la discussione da un piano tecnico-regolamentare ad uno più alto, politico in senso lato. Perché è proprio la politica – nella sua funzione nobile – che tutti indicano come bussola indispensabile per recuperare l’orientamento. Politica di conservazione, ordine, tutela di diritti acquisiti per qualcuno. Politica di apertura e ancora maggiore integrazione per qualcun altro, che non si sente affatto in crisi e che anzi giudica con favore gli stimoli alla creatività e le opportunità offerte dal nuovissimo “sistema mondo”. Ancora: la politica di un’Unione europea che, nonostante battute d’arresto e deficit democratico, sta consentendo al Vecchio Continente di attutire con l’euro i colpi della crisi mondiale. O la politica economica di quegli Stati nazionali che stanno già imboccando una via protezionista per salvaguardare le proprie produzioni. Da qualunque angolatura la si guardi – capitalismo in crisi? Marxismo definitivamente nel dimenticatoio? Socialismo appannato? – la questione sembra potersi ridurre a una affermazione addirittura elementare: anche la globalizzazione non è più quella di una volta. Quella, ad esempio, del primo Novecento. Oppure, scendendo indietro nel tempo, quella dei grandi imperi della vecchia Europa. Il fatto è che oggi il mondo è realmente globale nel senso che il potere, per la prima volta nella storia, non è più in mano degli stessi attori. Nuovi protagonisti, nuovi scenari, nuovi riferimenti anche ideali. Per reagire, il mercato da solo evidentemente non basta. Serve la politica. Il punto è allora quale politica scegliere e sulla base di quali valori, vecchi o nuovi che siano, ricostruire nuove regole e un nuovo sistema di relazioni economiche internazionali.

            Contenuti correlati
          Strillo: La crisi globale: dal mercato ai valori. L’Europa e l’Italia