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Attività

Interessi individuali, interessi comuni: etica e leadership oggi

    • Venezia
    • 26 Ottobre 2012

          Non è solo portatore di valori, creatore di consenso, ispiratore di fiducia e team builder, ma rispetta le regole e le persone, ha una visione strategica senza  deleghe in bianco, sa riconoscere i propri errori e valutare con onestà la sconfitta, è in grado di esprimere un‘idea di futuro e, su questa, coagulare il cuore e le menti di coloro che lo seguono: questo è il leader moderno, adatto a gestire situazioni complesse nella società della globalizzazione. E, soprattutto, è un leader del “noi” e non dell’io: il riconoscimento della leadership parte, infatti, dalle relazioni con gli altri. Oggi le identità collettive si configurano in modo diverso dal passato e sono molti i leader spiazzati dal cambiamento.

          Non basta essere persone di qualità, anche straordinarie, per essere leader. Non è sufficiente suscitare emozioni ed entusiasmo: una leadership carismatica può funzionare solo a breve, ma non lascia segni duraturi. Ci deve essere sì “entusiasmo” nei confronti del leader, ma deve essere “un entusiasmo ragionato”. Un vero leader non rincorre il consenso, lo costruisce. E per farlo deve avere una strutturata e forte base valoriale, un’interiorità ricca e molto coraggio. Per diventare un esempio che valga la pena seguire.

          Solo così il leader ispira fiducia, perché rende riconoscibili i valori di cui si fa portatore. Essere credibili significa essere in grado di ricomporre una dolorosa frattura tra élite e massa, ancora oggi molto diffusa le cui ragioni si perdono nel tempo. Nelle società occidentali si è passati da una concezione di “egoismo relativo “ – massimizzare gli interessi dei singoli non significa fare sì che l’altro non esista – ad una concezione di “egoismo assoluto” – agisco come se fossi solo, come se l’altro non esistesse. Ne è conseguita, in anni recenti, una stentorea ipervalorizzazione della fiducia in se stessi e una conseguente concezione divisiva della società in winner e looser. Un vero leader moderno è chiamato a superare tutto questo, rilanciando una necessaria idea di cooperazione tramite la quale tenere insieme pezzi di società altrimenti destinati alla deflagrazione o all’annientamento progressivo. Peraltro la globalizzazione impone che i saperi  “altri” che essa porta con sé vengano accolti con saggezza e disponibilità così come coloro che ne sono i portatori. Ad esempio in questo difficile compito il leader politico in Italia è aiutato soprattutto dalla Costituzione, una strada da seguire sulla quale i partecipanti al seminario hanno inequivocabilmente concordato.

          Essere leader nell’era della globalizzazione vuol dire anche conoscere e utilizzare la rete e saper gestire il grande potere dei social network. In politica innanzi tutto: non c’è ormai campagna elettorale dove la rete non sia protagonista. Questo significa che il leader è ormai “trasparente” e sotto osservazione costante sono il suo operato, le sue proposte e anche le sue gaffes. In rete però si parla essenzialmente ai propri followers, alle comunità di riferimento: ci si rivolge, quindi, a chi è già convinto più che cercare di muovere gli scettici. E dunque, seppure importante, la rete non può essere l’unico metro di giudizio in politica – il leader deve anche saper risalire la corrente e far valere le proprie idee, benché a volte impopolari – e in economia – una serie di post negativi contro il prodotto di un’azienda non mettono tout court in discussione il prodotto o l’azienda stessa. Senza peraltro dimenticare che la reputazione in rete è una realtà da cui sia il politico che l’uomo d’azienda non possono  prescindere.

          La rete come modello di socializzazione del nuovo secolo? C’è chi ritiene di no: anzi, secondo alcuni, chi è costantemente sui social network è fuori dalla socializzazione. La presenza su Facebook o Twitter altro non è che una vivace rappresentazione di “monologhi, portatori di un trionfo dell’io” che mandano in frantumi, sotto il velo di amicizie presunte, qualunque “spinta verso il noi”. Su Twitter a tarda sera si discute delle trasmissioni tv più popolari, ma la socialità non può limitarsi a questo: troppo poco e troppo facile, senza la fatica della relazione interpersonale.

          C’è chi ha ricordato che 1 miliardo di persone su Facebook ha meno di 22 anni. In questa nuova e inequivocabile realtà è impossibile per un leader nascondersi, perdersi, ignorare, dimenticare e financo annoiarsi: mentre però molti leader restano ancora analogici il mondo dei giovani è ormai digitale. Da qui la necessità di un cambio di modello e di paradigma. Per ripensare la leadership potrebbe essere utile ricordare l’era dell’Illuminismo: uomini colti e saggi che si riuniscono ed elaborano un nuovo modello di grande successo come l’Enciclopedia. Perché i contenuti non possono andare persi: la comunicazione funziona se sostanziata dai contenuti e, soprattutto, se c’è la memoria del passato. Un vero leader costruisce il futuro tenendo ben presente il passato.

          È anche per questo che la formazione ha un ruolo cruciale, se si vuole raggiungere la virtù aristotelica della saggezza. Va allora ripensato il modello formativo, cancellando gli errori del passato: la mancata gestione dell’autonomia universitaria, la carenza di formazione continua,  la formazione di “gabbie” tematiche – materie umanistiche versus scienze  – piuttosto che l’intersettorialità, la poca interazione tra università e impresa.

           A tutto questo va affiancato un serio sforzo non solo per innescare il ricambio  generazionale – non certo per “rottamare” –  ma anche per costruire società solidali con un alto livello di scambio e sostegno intergenerazionale.